Queen of Saba, da Venezia con amore (senza limiti di genere)

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Queen of Saba è il nome di un duo elettronico – «con un’anima analogica» aggiungono loro – formato da Sara Santi e Lorenzo Battistel. Nati a Venezia, hanno debuttato dal vivo nell’aprile 2019 e, dopo cinque singoli in inglese e altrettanti in italiano, nel giugno 2021 hanno esordito con il loro primo album, Fatamorgana, interamente cantato in italiano, tra sonorità elettroniche, pop, funky, neo-soul e indie, con una schietta attitudine queer. Musica che fa ballare – ma anche tenere il tempo col piede da seduti, quando i tempi pandemici impediscono le danze – e testi che parlano di corpi, desideri, amore e sesso in tutte le sfaccettature, con una priorità: «smantellare i dogmi di genere ed esplorare le infinite sfumature della musica». Gli ottimi riscontri critici dell’album hanno portato i Queen of Saba in un tour estivo di 30 date, organizzato in modo autogestito, che li ha visti esibirsi in tutta Italia. Il tour è finito da un po’ e abbiamo pensato di fare due chiacchiere con loro.

La regina di Saba è il vostro nume tutelare: un nome dagli echi biblici che richiama l’oriente, l’esotico, la fascinazione per l’alterità. Da dove nasce questa scelta e ha qualcosa a che vedere con il genere che proponete?

Il nome è nato mentre camminavamo sul ponte di Calatrava a Venezia e facevamo i cretini: ci siamo illuminati quando abbiamo scoperto che unendo le prime sillabe dei nostri cognomi usciva la parola “SaBa”. Abbiamo pensato al Cantico dei Cantici e alla figura straordinaria della Regina di Saba, con la sua aura potente e indipendente. Noi ci sentiamo come gli emissari della regina, i celebranti di un rito arcaico: nessuno dei due si sente un regnante con la corona in testa, ma solo il tramite di un messaggio. Ci immaginiamo che quel messaggio possa essere: sii quello che vuoi essere e suona la musica che ti va di suonare senza preoccuparti delle norme di genere (in tutti i sensi).

Quali sono i vostri percorsi biografici? Insomma, come si dice, “musicisti, ok, ma il lavoro vero?”

Se qualcuno ci facesse questa domanda seriamente, altrettanto seriamente lo prenderemmo a testate. Però ti risparmiamo e cerchiamo di essere più sintetici possibile: Sara, 25 anni, laurea in Arabo, studia Cooperazione Internazionale, Lorenzo, 27, diplomato al Conservatorio in percussioni classiche, insegna percussioni a scuola. Detto questo, noi speriamo di poter presto chiamare la musica la nostra occupazione principale. È vero, il nostro settore è stato demolito da decenni di politiche miopi se non deliberatamente dannose, ma la musica è ciò che ci rende felici e che ci permette di esprimerci meglio di qualsiasi altro mezzo, perciò non intendiamo rinunciare così presto.

Vi definite “alieni in un mondo che spinge al binarismo” e il videoclip di Chiodo Fisso è un inno giocoso, oltre che molto orecchiabile, a una sessualità libera, oltre gli stereotipi di genere. Interpretate il vostro fare musica come, anche, una forma di attivismo nell’ambito del movimento LGBTQ?

Nel caso della comunità LGBTQIA+, esprimere se stess* è un atto politico. Gioioso, a tratti doloroso, a volte per scelta privato, ma sempre immerso in un contesto in cui la norma cerca di schiacciarci e cancellarci dal quotidiano. Il videoclip di Chiodo Fisso è il perfetto esempio di come la lotta possa essere una grande festa di musica e colori, un atto d’amore per chi ha bisogno di sentirsi meno sol*, meno stran*, meno oppress*. I nostri testi non fanno l’occhiolino alla scena queer per opportunità, sono racconti personali di vita vissuta che però in alcuni momenti magici hanno il potere di valicare i confini e raggiungere persone che magari avevano proprio bisogno di sentirsi dire quelle parole.

Il vostro primo disco, Fatamorgana, uscito l’estate scorsa, è stato inserito da Rockit tra i migliori 50 album italiani del 2021, sopra ad artisti e band affermati come Mahmood, Coez, Fast Animals And Slow Kids. Lo avete presentato in un tour di più di 30 date in tutta Italia. Siete soddisfatti della ricezione critica e di pubblico?

Non abbiamo ancora realizzato del tutto quanto quest’ultimo anno ci abbia cambiato la vita. Il 2020 ci aveva da una parte tarpato le ali, dall’altra motivato a lavorare senza sosta e con infinita cura al nostro progetto; il 2021 ci ha fatto volare molto più in alto di quanto avremmo mai immaginato e soprattutto ci ha dato la forza di immaginare oltre tutti i limiti e i dubbi che inconsciamente avevamo nutrito durante un periodo così difficile per la musica.

Oltre a comporre e suonare dal vivo, avete fondato una piccola etichetta discografica, La Colletta Dischi. Vi occupate autonomamente anche del booking? È interessante questa scelta di restare indipendenti in questi anni in cui la distinzione tra mainstream e underground è sfumata fino sostanzialmente a sparire. Sentite il bisogno di costruire una “scena” con artisti a voi affini?

Negli ultimi due anni abbiamo lavorato autonomamente, sfruttando anche il sistema di supporto che abbiamo creato con i nostri amici e colleghi: crediamo moltissimo nella capacità degli artisti emergenti di fare squadra insieme, come anche nelle etichette che vogliono mantenersi indipendenti e libere da logiche soffocanti. Il concetto di “scena”, poi, ci piace moltissimo, perché include non soltanto l’affinità e la complicità che si possono creare in un gruppo di musicisti ispirati e mossi da impulsi simili, ma anche il mutuo aiuto, l’autarchia, l’incontro di ambizione e altruismo. In un paese come il nostro, che fatica a riconoscere il valore delle arti, fare rete diventa sinonimo di sopravvivenza.

queen of saba fatamorgana

Qual è il vostro rapporto con Venezia e il Veneto, il territorio in cui vivete e lavorate? Due aspetti negativi e due aspetti positivi (se ce ne sono).

Lorenzo è nato e cresciuto a Venezia, mentre Sara ci ha abitato all’università e ora vive altrove, anche se la casa di Lorenzo rimane la base operativa e creativa della band. Crediamo entrambi fortemente che se agli spazi collettivi e alle iniziative dal basso venisse lasciata la possibilità di fiorire, Venezia potrebbe diventare un punto di riferimento per tutto il Veneto. C’è un rapporto di amore-odio con questo territorio, come spesso capita con i luoghi natii: vorremmo che ci fosse un ambiente meno reazionario e miope, ma siamo anche grati di tutto quello che questo ambiente ci ha offerto in termini di possibilità, amicizie e scoperte. La nostra carriera è cominciata qui grazie a luoghi come Argo16 a Marghera e il CSO Pedro di Padova: non dimenticheremo mai da dove abbiamo cominciato e le persone al nostro fianco.
Due cose negative: l’umidità e la Lega Nord. Due cose positive: il vino a 1 euro e i nostri amici.

Ritenete che le politiche culturali in questa regione siano adeguate? Che cosa manca secondo voi?

Che la musica e l’arte siano l’ultima ruota del carro quando si parla di investimenti è cosa nota e purtroppo non soltanto limitata al nostro territorio. Il nepotismo e il clientelismo nella nostra regione e a Venezia in particolare sono una piaga che impedisce una vera circolazione di nuove idee e premia sempre gli stessi format piatti e rassicuranti: le mostre d’arte si ripetono uguali a loro stesse, mentre giovani promettenti curatori che hanno investito in gradi di educazione altamente professionalizzanti sono costretti a cercare lavoro altrove; i regolamenti per la musica di strada si fanno ogni anno più stringenti, mentre in ogni chiesa risuona la stessa registrazione della Primavera di Vivaldi da 20 anni. Cosa manca? La volontà politica di aprire la città a chi la vuole viva, dinamica, a misura di studente, di artista, di giovane lavoratore.

Starete sicuramente lavorando al secondo album. In che direzione vi state muovendo dopo il successo del disco di esordio?

Quando scriviamo nuova musica abbiamo solo due regole: 1) niente è mai troppo folle 2) non ci sono regole. Il nostro prossimo singolo, una collaborazione, uscirà molto presto e non vediamo l’ora. Abbiamo sperimentato con nuove sonorità che intendiamo seguire durante tutta la lavorazione dell’album, ovunque ci portino. Non vogliamo metterci pressioni, ma creare in assoluta libertà e soprattutto divertendoci come matti, che è l’unico modo che conosciamo per fare musica.

Qui i Queen of Saba su Bandcamp.

Giulio Todescan

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