Come torneremo a vivere insieme? La risposta degli architetti alla Biennale 2021

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Biennale 2021. La 17° Mostra Internazionale di Architettura a cura di Hashim Sarkis, aprirà al pubblico sabato 22 maggio. Tema della Biennale Architettura è il suo titolo che è allo stesso tempo una domanda: “How will we live together?”.
Un quesito che, come spiegato dal curatore stesso, va scomposto:
“How: come, parla di approcci pratici e soluzioni concrete, sottolineando l’importanza del problem solving nel pensiero architettonico.
Will: esprime il tempo futuro e segnala uno sguardo rivolto al futuro ma anche la ricerca di visione e determinazione, attingendo alla forza dell’immaginario architettonico.
We: è la prima persona plurale e quindi inclusiva di altri popoli, di altre specie, che fa appello a una comprensione più empatica dell’architettura.
Live: significa non semplicemente esistere ma prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita, attingendo all’intrinseco ottimismo dell’architettura.
Together: implica collettivi, spazi comuni, valori universali, evidenziando l’architettura come forma collettiva e forma di espressione collettiva.
?: Indica una domanda aperta, non retorica, che cerca (molte) risposte, che celebra la pluralità dei valori in e attraverso l’architettura”.

Per Sarkis si tratta di una domanda antica ma allo stesso tempo urgente: “Ogni generazione si sente costretta a porre questa domanda e a rispondere in un suo modo proprio. Oggi, a differenza delle precedenti generazioni guidate ideologicamente, sembra esserci consenso sul fatto che non esiste un’unica fonte dalla quale possa derivare una risposta. La pluralità delle fonti e la diversità delle risposte non farà che arricchire la nostra convivenza, non ostacolarla. Poniamo questa domanda agli architetti perché non siamo soddisfatti delle risposte oggi offerte dalla politica. Nel contesto della Biennale Architettura poniamo questa domanda agli architetti perché crediamo che abbiano la capacità di dare risposte più stimolanti di quelle che la politica ha finora offerto in gran parte del mondo. La poniamo agli architetti perché hanno la grande abilità di attirare diversi attori ed esperti nel processo di progettazione e costruzione. La poniamo agli architetti perché noi, come architetti, ci preoccupiamo di dare forma agli spazi in cui le persone vivono insieme e perché spesso immaginiamo questi ambienti in modo diverso dalle norme sociali che li dettano. In tal senso, ogni spazio che progettiamo abbraccia il contratto sociale voluto dallo spazio e altempo stesso ne propone un’alternativa. Aspiriamo ad attuare il meglio del contratto sociale e a proporre alternative quando è possibile migliorarlo. Una casa unifamiliare può alla fine replicare invalori espliciti e le oppressioni implicite del modello di famiglia nucleare del secondo dopoguerra, ma abbiamo anche visto potenti esperimenti di architetti che hanno sfidato le gerarchie familiari della casa unifamiliare e le segregazioni di genere proponendo progetti e gradi di apertura alternativi. Si spera che la domanda continui a spingerci fiduciosamente in avanti e, così facendo, a costruire sull’ottimismo che guida l’architettura e gli architetti. La nostra professione ha il compito di progettare spazi migliori per una vita migliore”.

 

Crediti immagine apertura: SOM, “Moon Village Earth Rise,” Life Beyond Earth, 2020.Courtesy SOM | Slashcube GmbH

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