Scorci di Islam: da Riyadh a Kuala Lumpur

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Kuala Lumpur, Petronas Towers

 

Shopping mall a Kuala Lumpur

 

Museo dell'Arte Islamica di Kuala Lumpur, una copia del Corano

 

Il viaggio è finalmente iniziato. Scrivo mentre sono ancora stordito dal jet lag, dal caldo, dall’umidità, dall’enormità di Kuala Lumpur.
Credo che un viaggio debba servire anche a smentire gli stereotipi che tutti noi abbiamo nei riguardi di chi o cosa ci è sconosciuto e sentiamo di dover conoscere. Periodicamente l’uomo sente il bisogno sviscerato di trovare capi espiatori. Ultimamente, il “nemico” preferito della nostra società occidentale è stato individuato nei musulmani. Nonostante alcuni si sentano circondati da questi “invasori”, credo che molti di noi (me compreso) ne sappiano molto poco. 
Per raggiungere Kuala Lumpur, in Malesia, abbiamo preso un volo della Saudi Arabian Airlines e fatto scalo a Riyadh, in Arabia Saudita. Al decollo una voce registrata ci ha letto una litania in arabo, era la preghiera che un principe saudita usava recitare prima di volare. Tutto sommato era tranquillizzante. L’Arabia Saudita è un paese fortemente musulmano, una dittatura amica dei potenti dell’Occidente. Applica la Sharia nel senso più stretto, esattamente come quei talebani che prima abbiamo rifornito di armi e poi bombardato. Però ci vende petrolio, tanto petrolio. In aeroporto, uomini seri e baffuti da una parte e occhi di donne dall’altra. Occhi di donne piene di mistero, coperte da un velo nero come il petrolio, sotto un caldo infernale. Veli neri che sorreggono borse alla moda, delle griffe più costose, dai colori sgargianti, appariscenti. Trucco vistoso agli occhi (sempre che anch’essi non siano coperti dal burqa), a volte adornati con occhiali D&G. Nei bagni dell’aeroporto, un’insegna distingue i sessi con due volti abbozzati: un barbuto col turbante per gli uomini, un volto coperto dal velo per le donne.
  

Anche la Malesia è un Paese islamico; un Paese in cui convivono molte etnie e molte religioni, ma in cui l’Islam è religione di Stato e chi appartiene all’etnia “Malay” nasce per legge musulmano e non può convertirsi. È un paese moderno, modernissimo, ma solo apparentemente democratico. Molte donne di Kuala Lumpur vestono all’occidentale, minigonne, tacchi e scollature. Molte altre indossano dei veli che lasciano liberi il viso e il sorriso. Veli fiorati, rosa, bianchi o decorati di altre fantasie. Chi veste più tradizionalmente ha lunghi vestiti leggeri e coloratissimi. Le ragazzine col velo escono insieme alle loro amiche che non lo hanno, passeggiano con i loro fidanzati, si fotografano con l’i-phone.
Il museo dell’Arte Islamica a K.L. ci mostra come nell’Islam si sono identificati nella storia i popoli più disparati, dai venditori di seta del Tagikistan agli imperatori Moghul dell’India, dagli scienziati di Al-Andalus ai commercianti che arrivarono in Malesia e diffusero la loro religione. La vicina moschea è un luogo di pace in cui il turista, in determinati orari, è benvenuto e coperto da un velo perché possa rispettare i fedeli. Numerosi volantini in inglese sono a disposizione del visitatore per tentare di spiegare i principi musulmani e sfatare falsi miti. Leggo che il Corano vieta l’imposizione della religione, che la Jihad non consente lo spargimento di sangue innocente, che l’ambizione più alta degli uomini è la pace.
Maria Elena mi fa subito notare che se scrivono questo, è segno che c’è chi la pensa diversamente. Mi sembra inoltre di non aver mai trovato in una Chiesa Cattolica dei volantini che sottolineano come chi fa la guerra in nome del Dio cristiano sbaglia, chi ammette alla comunione e al matrimonio i capimafia sbaglia, chi benedice i soldati e le loro armi al fronte sbaglia
. Eppure credo che anche in questo caso c’è chi la pensa diversamente. E agisce di conseguenza.  

Kuala Lumpur, moschea nazionale malese

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