Se ai bambini italiani in Svezia non viene insegnato l’italiano
A seguito di una ricerca da me condotta presso l’universitá di Stoccolma ho potuto apprendere con mia grande sorpresa che noi italiani residenti in Svezia tendiamo a non trasmettere la nostra lingua ai nostri figli. La cosa mi ha incuriosita e anche preoccupata, poiché sono madre di una bambina che non voglio certo regalare completamente a questa societá, ma che desidero faccia diventare parte di se quella mezza italianitá che le deriva da me. Cerchiamo di capire i motivi di questa perdita linguistica.
Facendo un viaggio indietro nella storia scopro che le prime tracce di immigrazione risalgono al 1130. Una dozzina di lombardi si stabilirono in Svezia, nel 1800 il numero degli immigrati italiani comincia ad aumentare e nel 1960 arrivano addirittura 500 italiani all’anno. Sono per lo piú uomini in cerca del tanto desiderato lavoro in patria ma mai trovato. I “Gipskatter”, cosí vengono chiamati, sono dei bravi lavoratori e si stabiliscono per lo piú a Malmå, Västerås, Stoccolma e Göteborg. Si integrano nella societá, lavorano col gesso o in fabbrica. Alcuni di loro portano con se le mogli, altri arrivano da soli e si sposano sul posto.
I risultati della ricerca indicano che coloro che si sposano con donne svedesi o finlandesi non trasmettono la lingua italiana ai propri figli, mentre quelli che si sposano con le connazionali lo fanno. E´ quindi la donna che fa la differenza. Se la mamma dei bambini é italiana, questi imparano la lingua, se é svedese o finlandese invece il passaggio alla lingua svedese anche in famiglia, cioé nell’uso quotidiano diventa automatico. Alcuni di questi immigrati cambiano addirittura la loro nazionalitá, rinunciando a quella italiana e diventando svedesi. Insomma una completa assimilazione allo stile svedese. Lo stato svedese fino al 1975 ignora la presenza di stranieri e conduce una politica completamente assimilazionistica e a quanto sembra i risultati sono positivi. Dopo il 1975 invece lo stato svedese offre la possibilitá dell’insegnamento della madrelingua, ma sempre dai dati gli italiani sembrano poco interessati e la maggioranza non manda i figli a “modersmål”. “Non serve” dicono “e poi é fatta ad orari strani”. Ma alla domanda se ritengano importante il mantenimento della lingua italiana rispondono tutti all’unanimitá e senza esitare di sì. Insomma hanno un atteggiamento contraddittorio. Senza impegno e tenacia non si ottiene nulla. La situazione oggi a distanza di 50 60 anni é triste. Una minima parte dei figli degli immigrati italiani degli anni ‘40 – ‘50 conosce la lingua italiana alla pari della svedese e i nipoti degli stessi molto raramente la imparano dai nonni o dai genitori.
Oggi abbiamo di fronte a noi la prima generazione di italiani che si sono stabiliti definitivamente in Svezia. Qui hanno trascorso la maggior parte della loro vita, hanno contribuito alla costruzione economica della nazione, alcuni sono diventati famosi altri meno, ma tutti hanno fatto grandi sacrifici e sono riusciti a crearsi una nicchia personale nella societá svedese raggiungendo un ottimo livello di integrazione. L’unico rammarico é questa mancanza di conoscenza linguistica da parte dei figli e nipoti. La perdita della lingua di origine é purtroppo un fenomeno comune alla maggior parte degli emigranti di tutto il mondo. Per alcune comunitá piú unite e meno integrate il processo avviene alla terza generazione, per gli italiani, che tendenzialmente sanno adattarsi ed integrarsi ovunque, é avvenuto giá alla seconda generazione.
Solo con l’uso quotidiano della lingua e quindi con lo sviluppo di domini linguistici seguito da lunghi periodi di soggiorno nella nazione di origine, si puó ottenere una conoscenza linguistica sufficiente e una competenza orale. Per quanto riguarda invece la conoscenza della lingua scritta la strada é molto piú difficoltosa. Per imparare a scrivere non basta certo un’ora di “modersmål” alla settimana, e l’uso orale della lingua in ambito familiare. La competenza scritta é il risultato di uno studio continuo e scolastico e della lettura di libri e riviste. Solo con l’impegno costante, a lungo termine, si puó sperare che i figli riescano a conoscere la lingua dei genitori e non solo la lingua della nazione in cui questi figli crescono e vivono, ricevono educazione e valori ma di cui sono originari solo in parte. Il compito dei genitori é di educare i propri figli, di trasmettere loro i valori che si portano con se e tra questi valori desidero includere anche la nostra bella lingua.
Antonella Tiozzo