Meglio raccogliere ferro che la scuola?
Diritto all’educazione o dovere di sopravvivere?
“Mio figlio figlio è un bravo ragazzo che contribuisce, come suo padre, a racimolare quanto serve per vivere. Il lavoro che fa contribuisce a riempire i piatti in casa. Sono fiero di lui. Che non vada a scuola per questo, non gliene faccio un torto”. Così dichiara Ngagne, di professione autista, 34 anni. Vive a Diacksao, un quartiere povero della periferia dakaregna. Suo figlio, 7 anni, non va a scuola per raccogliere ferro tutti i giorni, come se fosse la sua unica occupazione. Per mettersi in pace la coscienza, Ngagne ricorda le difficoltà economiche e sottolinea l’importanza dei 1000 franchi cfa (1,53 euro) al giorno che può portare suo figlio a casa. La sua giustificazione non è condivisa da Fatou Lô, una commericante di 28 anni che abita a Médina Marèm, un quartiere di Thiaroye, lo stesso sobborgo di periferia. Rimbrotta l’amico, colpevole di privare il figlio del diritto all’educazione: “Gli togli la possibilità di fare degli studi, e perché no, di diventare una figura intellettuale che un giorno aiuterà il Paese a svilupparsi”. A quest’accusa, il padre di famiglia ribatte con una constatazione che lascia tutti di stucco. “Nella mia famiglia – dice – tutti i miei fratelli maggiori hanno fatto una lunga carriera scolastica. Ma a cos’è servito? Sono tutti disoccupati e i soldi che porta il piccolo aiutano a nutrire loro e le loro teste piene di cultura, grazie alla scuola”.
Il fallimento dell’istruzione senegalese: il denaro facile
Sulla stessa scia, Bienvenue Mitterrand, un operaio del rame disoccupato di 24 anni. Dice che i padri delle famiglie modeste non possono sostenere a lungo gli studi, molto costosi, se non sono certi di un ritorno dell’investimento. La scuola – continua – è un fardello di lusso che i genitori non si possono permettere. Soprattutto quando le vaghe promesse di un futuro migliore si scontrano con la realtà della disoccupazione dei fratelli maggiori. Secondo lui, sono i genitori che devono incoraggiare i figli a scegliere un mestiere che porti qualcosa in pentola. Tuttavia, raccomanda un livello d’istruzione accettabile, che significa saper leggere e scrivere.
Un po’ più lontano, vicino al cantiere del tratto di autostrada a pagamento in costruzione tra Thiaroye e Fass Mbao, si trova un compratore di ferro. Lesina le risposte, ma alla fine si confida. “Non faccio altro che aiutare delle famiglie povere senza qualificazioni a lavorare e guadagnarsi il loro pane quotidiani”, spiega per giustificarsi. Eppure in molti imputano agli acquirenti il dilagare del fenomeno e la conseguente dispersione scolastica. In effetti, i genitori sono accusati di ricattare psicologicamente i figli, sbandierando loro del denaro davanti al naso. “Come volete che dicano ai figli di andare a scuola se non sono nemmeno sicuri di poter pagare loro l’iscrizione, il materiale scolastico e persino i pasti usciti da scuola?”, sostiene Issa Gaye. Questo giovane si dice sconvolto da chi compra il ferro. Senz’armi giuridiche, affronta quelli che considera come dei becchini mettendo pressione sui bambini che osano lavorare per loro. “Li interrogo tutte le volte che passano con un sacco sulle spalle, alla ricerca del prezioso materiale”, dice con disappunto, mascherando la sua desolazione.
“Guadagno dignitosamente nella mia vita”
Se Idrissa contrasta il fenomeno, ci sono altri che arrivano addirittura a prendere ferro anche dove è ancora utilizzato. Così non è raro vedere dei gruppi di giovani che si agitano vicino alle nuove costruzioni… per prelevarne il ferro, spesso illegalmente. Il che spinge alcune aziende che si occupano di ristrutturazioni a organizzare un stretta sorveglianza su cavi elettrici, costruzioni e tutto ciò che è fatto di questi materiali. Queste accuse di furti non piacciono a Abdoulaye, un 17enne che fa delle ricerca e della vendita di ferro la sua attività principale. Alla guida del suo carro trainato da un cavallo famelico, passa di quartiere in quartiere in cerca di pezzi di metallo. “Compro persino della ferraglia ai giovani del quartiere. Ma non rubo e i non lo fanno nemmeno i colleghi che conosco”, afferma mentre con la mano callosa regge una carcassa di letto, di cui non resta altro che ferro. Stesso tintinnio metallico, come di una campana, da Serigne, un ragazzino di 13 anni alto non più di tre barattoli, anche lui “ferrivendolo”. Si sposta a piedi, tirando a braccia una specie di carriola su cui è poggiata una tavola dove ripone il raccolto del giorno. Fa intendere che non mette in pericolo la sua vita andando a rubare, perché la madre aspetta il suo ritorno per preparare il pranzo al suo fratellino. Con il suo “mezzo” stracolmo di ferraglia, si dirige da un acquirente: quest’ultimo è il vero chiodo fisso di tutti i piccoli venditori di ferro. Accanto, con la sua bilancina venuta dalla preistoria, tratta con gli altri il prezzo della sua merce.
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