Terra di tutti, i primi doc in concorso

Il rifugio_ridimIl ritorno di un fotoreporter a Beirut dopo trenta anni, in cerca dei suoi soggetti. Le condizioni di lavoro degli operai cinesi nella filiera di assemblaggio degli iPhone. Gli orti estoni minacciati dall’aeroporto locale e i conseguenti rischi per la popolazione. La vita nei CIE dei profughi della Libia. Sono solo alcune delle storie al centro della settima edizione del Terra di tutti film festival, in programma da martedì 8 a domenica 13 ottobre al cinema Lumière di Bologna (via Azzo Gardino 65) e in altre location.

Il festival di documentario e cinema sociale dal sud del mondo, organizzato dalle ong Cospe e Gvc per la direzione artistica di Jonathan Ferramola e Stefania Piccinelli, porta fuori dal cono d’ombra della comunicazione più mainstream i temi, i luoghi e i volti di chi lotta per la sostenibilità ambientale, le nuove cittadinanze, l’accesso alle risorse e la sopravvivenza nelle regioni di conflitto.


A trent’anni di distanza dai suoi scatti più iconici, il fotogiornalista libano-americano George Azar ritorna a Beirut, per cercare le persone e i luoghi del suo primo viaggio. Prodotto in Qatar, Beirut Photographer è un film di documentazione e ricongiungimento, dove il dietro le quinte dei singoli scatti del 1981, alla vigilia dell’invasione israeliana e del massacro di Sabra Shatilla, definiscono tappe e itinerario del viaggio.
Con Inside Apple la regista francese Anne Poiret indaga invece sul cosiddetto “sistema Foxconn”, un’azienda cinese fornitrice di Apple, passata alla cronaca nel 2010 dopo un’ondata di suicidi fra i dipendenti. Indagare sulla Foxconn significa porsi domande sulle grandi commesse internazionali, i rapporti tra superpotenze economiche, la disuguaglianza delle condizioni di lavoro.
Sono sopravvissuti alla Guerra fredda, alla Perestrojka, alla caduta del muro di Berlino e all’ingresso dell’Estonia nell’euro, ma non sopravvivranno all’espansione dell’aeroporto locale. Gli orti nelle aree che erano ai margini dello sviluppo sono al centro di Not my land, di Alyona Surzhikova, assieme alle generazioni vecchie e nuove, alle persone dai mille passaporti estoni, ucraini, russi (o non pervenuti) che rischiano di trovarsi privati della loro fonte di sostentamento.
Francesco Cannito e Luca Cusani raccontano una storia paradossale di mancata accoglienza e integrazione che mette in discussione la normativa sui CIE, i centri di identificazione ed espulsione per stranieri. Il rifugio, vincitore del Premio Ilaria Alpi 2013 nella sezione IA Doc Rai per reportage e inchieste inedite, segue la storia di 116 africani in fuga dalla Libia di Gheddafi, che da Lampedusa vengono trasferiti a Montecampione, nel bresciano, dove per tre mesi “vengono rinchiusi con i loro diritti, i loro sogni e le loro speranze” in un albergo disabitato. Vite messe fra parentesi, in attesa di una legge che non arriva.

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