Timor Leste, tempo di crescere

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Timor Est é di fatto uno dei paesi piu poveri dell’Asia, ma essendo lo stato piú giovane (indipendente dal 2002) non e’ nemmeno tanto una sorpresa. Nel 1999, quando i timoresi votarono per la prima volta a favore della scissione dall’Indonesia, che li aveva invasi nel 1975 dopo appena una settimana di indipendenza dal Portogallo, la “tiny nation” – come spesso viene identificata nei media internazionali – era completamente devastata.

Strade, negozi, case bruciate, impianti elettrici distrutti, autobus e macchine incendiate, scuole e ospedali rasi al suolo, i pochi internazionali rimasti si cibavano con pane, acqua e whisky dai container che arrivavano piu o meno clandestinamente nel minuscolo porto della cittá, o di quello che vi restava. Tra i più abbienti, c’era chi andava in Australia per comprarsi un dentifricio. La gente non usciva di casa, non andava in chiesa o nemmeno al cimitero, con la paura di imboscate da parte dei gruppi paramilitari indonesiani (musulmani), mentre questo era ed é un paese al 98% cattolico.

Oggi, a 12 anni di distanza, nonostante le enormi contraddizioni, Timor Est vive una grande e nuovissima tranquillitá, una pace che non é soltanto una tregua, ma un lungo, faticoso e duro investimento nella serenitá quotidiana. La gente esce per strada a qualsiasi ora, cammina lungo il mare, i bambini giocano a pallone (nudi) sulla spiaggia.  In poco tempo sono state inaugurate iniziative assolutamente impensabili fino a poco tempo fa, come un tour in bicicletta di tutto il paese, il cinema all aperto sul lungomare, la maratona della pace, il carnevale, e poi formaggi e pane e carne importata nei supermercati, esportazione del loro (buonissimo) caffé, e finalmente un po di business grazie a degli enormi giacimenti di petrolio e gas offshore che stanno cominciando a fruttare qualcosa (ma certamente non abbastanza per la gente normale). Sono una piccola isola, anzi metá -la parte occidentale, Timor Ovest, e’ sotto l’Indonesia-, non passano il milione e due centomila abitanti, non hanno un dollaro di debito internazionale, e sono ad un’ora di volo dall’Australia, 3 da Singapore, 1 ora e mezza da Bali. Un mare e una biodiversitá incantevole, patrimonio eccezionale per il turismo. Insomma hanno tutto per crescere, per stabilizzarsi, per migliorarsi. Qualche biologo in realtá rimpiange, a suo modo, il conflitto, perché dice che perlomento teneva lontano l’industrializzazione caotica, lo sviluppo ad ogni costo, e i coralli e le stelle marine proliferavano in pace.

I problemi sociali peró rimangono, E non si risolvono dall oggi al domani. Nemmeno con il petrolio.

Ieri ho intervistato l’infermiera di un piccolo villaggio, Linda. La sua clinica e’ composta di due stanze, una quarantina di metri quadrati. Medicine poggiate per terra alla meglio, in mezzo alla polvere e ai ragni, e vicino ad una finestra con i vetri rotti, senza zanzariera né senza persiana. Nell’atrio una panca mangiucchiata dai tarli per far sedere una ventina di pazienti in attesa, tutti appicciati, quasi uno sopra l’altro. Senza accesso all’acqua potabile, e con solo 3-4 ore al giorno di elettricitá. Linda e’ l’unico personale medico per oltre 6000 persone, e il primo medico, nel micro ospedale della regione, si trova a 4 ore a piedi di distanza, in montagna. Sono 6, i medici, per oltre 66,000 abitanti di tutta la zona. Un dentista, un nutrizionista, zero pediatri. Eppure Linda era alle stelle di felicitá, e lo sapete perche? Le abbiamo comunicato che finalmente ricevera un dispensario per le medicine, e un paio di panche nuove per i suoi pazienti. Bye bye caos, bye bye polvere. Ha detto che manterrá  comunque la panca vecchia, quella bucherellata, per metterla fuori, cosi da far posto alle due panche nuove di zecca dentro alla clinica. Tanto c’e’ un tettuccio di lamiera per riparare dalla pioggia, e ci si puo’ comodamente sedere anche lí sotto.

Luca Solimeo

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