Una cena a Malacca - ritrovando la cucina bruna (parte 1)

la strada da Singapore a Malacca

Domenica pomeriggio mi hanno chiesto di sostituire una comparsa in un film indiano girato a Malacca e mi son detto: -perché non iniziare la settimana in un modo diverso?-, e sono salito sullo shuttle della produzione che ha percorso in breve tempo i 240 chilometri che separano Singapore da Malacca. 

Appena raggiunti i sobborghi dopo un’apparentemente interminabile e monotona serie di piantagioni di alberi di palma da olio, abbiamo attraversato la parte moderna della città, del tutto uguale a qualsiasi altra città del Sud Est Asiatico con l’edilizia residenziale imposta senza pianificazione sul territorio. Certo, la pressione sul territorio è diversa da quella in megalopoli come Manila o Giacarta, dove l’immigrazione dalle campagne di individui affamati senza alcuna istruzione porta alla proliferazione di baraccopoli malsane e fatiscenti. Qui a Malacca ci sono gli stessi centri commerciali con le stesse catene in franchising di ristorazione, articoli sportivi o di abbigliamento, telefonia, elettrodomestici che puoi trovare in qualunque altra città di medie dimensioni in Malesia, Parallelamente, si trovano anche i vecchi mestieri di tipo cinese ed i venditori di strada addossati all’apparenza di modernità. Ovunque, manifesti elettorali e bandiere dei partiti che si stanno disputando il controllo del Paese, una monarchia parlamentare a imitazione della potenza coloniale che la governava precedentemente, il Regno Unito, fino al 1957, quando la Malesia si è resa indipendente dai Britannici anche se non dal feudalesimo.

manifesto elettoraleLe elezioni del 5 Maggio 2013 per il Paese di 28 milioni di abitanti seduto su risorse ricchissime come minerali, giacimenti petroliferi e di gas naturale, piantagioni di palme da olio e di alberi da gomma, legni preziosi ma distribuite e sfruttate in modo estremamente disuguale ed inefficiente, sono elezioni in cui da un lato il presente feudale del Paese viene messo in discussione, assieme a tutte le strutture culturali che sostengono un tale regime, e dall’altro i difensori dello statu quo lottano in modo sleale per garantire che non cambi nulla. La speranza è che l’opposizione vinca almeno venti seggi in Parlamento, per costringere il partito al potere, il Barisan Nasional (Fronte Nazionale), una specie di incrocio tra Partito Fascista e Democrazia Cristiana in salsa islamica, a ripensare le sue politiche.

Appena parcheggiamo davanti ad un “boutique hotel” nel cuore del vecchio forte portoghese, i muezzin da vari minareti diffondono nell’aria il canto per chiamare i fedeli alla preghiera di al-maghrib. Ciò che resta della città vecchia il cui possesso consentiva una volta di “tenere Venezia per la gola”, è un patetico e triste miscuglio di inesattezze e di rovine per uno come me, abituato a vedere edifici dal 1300 in poi continuamente abitati e ben mantenuti.

il bastione ricostruito di MiddleburgIl visitatore non edotto si limita a guardare quello che gli viene messo davanti agli occhi, e ad essere felice ed orgoglioso di quello che crede di vedere. Davanti al mio hotel, dall’altra parte del fiume, c’è la ricostruzione del bastione Middelburg, costata 12.8 milioni di Ringgit Malesiani, ovvero  3.218.140 Euro. Originariamente edificato dagli Olandesi nel 1660, quasi vent’anni dopo la loro conquista della città il 14 Gennaio 1641, per controllare e proteggere la bocca del fiume che era anche il porto in cui arrivavano le navi da altri porti lontani, fu distrutto assieme a tutte le fortificazioni della città nel 1806 dagli Inglesi. Del resto il porto era insabbiato e le fortune commerciali ormai sbiadite, emigrate prima a Georgetown (Penang) e poi a Singapore.

Il 4 Aprile 2010, con un certo orgoglio, il Ministro della Cultura e delle Telecomunicazioni annunciava che “il Bastione di Middleburg, costruito dagli Olandesi e distrutto dagli Inglesi, era risorto per volontà del governo Malesiano”. Cui juvat? Chi può sapere con certezza quanto alto fosse il bastione? Quali fossero le sue vere fattezze?

Per i Malesiani, orgogliosi che l’Unesco abbia dichiarato il 7 Luglio 2008 la città di Malacca un “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, ciò che è importante è che i turisti continuino ad arrivare. Il bastione ricostruito non fa altro che aggiungere lustro.

Il turista cinese, di solito un contadino vestito con un abito da becchino se vuole apparire serio, o con motivi floreali hawaiani se si sente in vacanza, magari arrivato con volo charter da Canton, può proclamare di avere visto un “forte olandese”. Sulla terrazza del bastione alcuni seguaci della setta dei Falung Gong denunciano gli orrori del regime comunista di Pechino che ne condanna a morte gli adepti per poter usare i loro organi. Osservo la comitiva cinese: si fa ritrarre in varie pose davanti o sui ricostruiti cannoni della Compagnia delle Indie Orientali. Mi pervade un senso di tristezza per l’incomprensibilità della vita creata dall’ignoranza diffusa ad arte.  

Certo che la città vecchia di Malacca (o quello che ne è rimasto dopo essere stato rimaneggiato) sembra trovarsinegozio di T shirt anni luce lontana dalle campagne coltivate a palma da olio che la circondano.  Ad uso dei turisti e di un’intellighentsia locale ci sono ovunque dei bar molto vivaci dove si suona musica dal vivo, e negozi per turisti si vendono maglie colorate dagli slogan accattivanti e simpatici. Come in qualunque altro posto turistico del mondo. Che sia possibile ritrovare un filo conduttore ininterrotto col passato? Dove?

Chiunque controlli lo Stretto di Malacca tiene le mani sulla gola di Venezia“,  disse il Portoghese Tome Pires alla fine del XV secolo.  Malacca era, allora, il porto dove si concentrava il traffico di spezie provenienti dalle pur lontane Molucche: noce moscata, soprattutto, ma anche chiodi di garofano, galangal e cubebe, mentre il pepe era prodotto principalmente in India. Conquistando Malacca nel 1511 i Portoghesi avevano finalmente concluso il progetto di Re Manuel I di togliere il commercio mondiale delle spezie dalle mani dei mercanti musulmani alleati dei Veneziani. I loro primi successi erano stati la conquista di Aden alla foce del Mar Rosso impedendo così che le spezie arrivassero ad Alessandria in Egitto, da dove i mercanti Veneziani le avrebbero portate a Rialto, e la conquista dell’isola fortezza di Hormuz all’imboccatura del Golfo Persico da dove le spezie sarebbero andate a Beirut, anche lì raccolte dalle galee veneziane. Eliminati i Veneziani, i Portoghesi si sarebbero potuti affermare come dominatori monopolistici incontrastati del commercio delle Spezie…

Che cosa rimane oggi, qui a Malacca, di quella vecchia storia di spezie che sta alla base del mondo moderno e della globalizzazione? Non essendoci nessuna continuità tra i muri e ciò che ospitano, nessun senso di autenticità nei vecchi edifici involgariti senza potercisi opporre in uno stile a la Disneyland,  mi viene voglia di mangiare qualcosa di locale, qualcosa che quindi potrebbe essere rimasto più o meno autentico in quanto inalterato nei secoli.

Guardando il Menu, un’epifania: l’evidenza di trovarmi di fronte alla Cucina Bruna.

Di cosa si tratta? Ve lo descriverò nella Seconda Parte.

di Giovanni LOMBARDO – Malacca, 9 Aprile 2013

negozietto alternativo

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