Università, se per reclamare una cattedra (avendone già due) la prof punta sull'età
Non è un Paese per giovani, l’Italia. Salvo litanie come “evitare la fuga di cervelli”, dare “spazio al merito” (da recitare due-tre volte al giorno), tutto il resto è noia. A romperla ci prova Elena Pontiggia, 59 enne, storica dell’arte. Con una mail velenosa che gira su Facebook. Ha scoperto, con qualche mese di ritardo, di non avere vinto un concorso universitario all’Ateneo di Padova. Per il posto in questione è stato scelto un giovane ricercatore padovano, che conosceva e aveva lavorato (così pare) insieme con la presidente della commissione che ha deciso il concorso.
Leggiamo quanto dice Pontiggia.
Cari amici,
scusate se vi faccio perder tempo ma vorrei raccontarvi quello che mi è accaduto e che, al di là del mio insignificante caso, fa capire come vanno le cose nel nostro paese.
Ieri ho letto i risultati del concorso per una cattedra di storia dell’arte all’università di Padova, a cui avevo partecipato. I risultati sono in internet già da qualche mese ma, presa da certe scadenze, non me ne ero più ricordata. E poi non ho mai creduto molto ai concorsi universitari italici, tanto che questo è il primo a cui partecipo. Infatti.
La faccio breve: ha vinto il posto un tale che non conosco, ma che ha al suo attivo l’aver collaborato per anni con la presidente della giuria. Strano, vero? Tralascio di dire che il vincitore ha un centesimo delle mie pubblicazioni: non perché sono più brava, ma perché sono un po’ più vecchia, e in trenta-trentacinque anni di ricerca ho pubblicato un centinaio di libri, di cui alcuni corposi. Non lo dico per lodarmi e quindi imbrodarmi, ma l’elenco dei miei libri è in rete e sfido chiunque a dire che ho lavorato meno e peggio di lui.
Ma in Italia il famoso merito non conta, si sa. Quello che dà fastidio, anzi che urta profondamente, è che anche persone che si stimano, e che fanno parte delle commissioni, siano acquiescenti con questi sistemi. Io ho sessant’anni, una cattedra a Brera e dall’anno scorso anche al Politecnico. Non ho bisogno di fare ore di treno per insegnare altrove. E di concorsi mi guarderò bene dal farne ancora. Ma se l’Italia ha un sistema universitario da terzo mondo, fondato in larga parte sulla mafia, è anche colpa di quelli che – anche intellettuali di valore – accettano questi sistemi.
Fare ricorso? Perdere un sacco di tempo – e non ne ho più così tanto- per ottenere ragione dopo anni, magari a un passo dalla pensione? Per carità!
Meglio lasciar perdere perché, come diceva de Chirico “intanto noi viviamo e lavoriamo, e la vita e il lavoro non dipendono da questi signori.
Vi ringrazio per l’attenzione. Un abbraccio
Elena
Bene, l’Università è tutta una mafia. Analizziamo la mail: la nota storica dell’arte ha già due cattedre, a Brera e al Politecnico. Concorre per una terza. Ci tiene ma a quanto pare neanche troppo, visto che si accorge dopo mesi del risultato negativo. Dice poi di non aver bisogno di fare ore di treno per insegnare altrove (e qui ci domandiamo: se non ne ha bisogno, se neanche si è accorta dei risultati, se scrive tutto questo disinteresse: perché provarci?) Attacca il vincitore. E qui il passaggio che vorremmo farvi notare: il posto andava assegnato a lei “non perché sono più brava, ma perché sono un po’ più vecchia” e quindi ha pubblicato più libri. Sarebbe interessante avere la macchina del tempo e tornare indietro di tre decenni. A quando la signora Pontiggia aveva trent’anni e probabilmente iniziava (o aveva appena iniziato) la sua brillante – perché così è stata – carriera. Qui il paradosso: avesse trovato persone che ragionano come fa lei ora, più vecchie, cosa avrebbe detto? E soprattutto, che possibilità avrebbe avuto?
Probabilmente l’Università sarà una mafia, ragionateci voi: sicuramente l’Italia non è un Paese per giovani, ve lo diciamo noi.