Viaggiatori, turisti e presunti tali (riflessioni prima della partenza – parte II)

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Il conto alla rovescia si avvicina allo scadere, il 13 Ottobre affideremo noi e i nostri zaini a un aereo saudita in attesa di atterrare nel cuore del Malesia e trasformarci in turisti… voglio dire in viaggiatori…O forse nemmeno questa è la categoria giusta. Non ho mai apprezzato le definizioni.

Una volta incontrai l’ex-proprietario di un pub milanese in cui ero affondato in tempi universitari. L’incontro, apparentemente banale, mi mozzò il fiato. Semplicemente perchè avvenne a quattromila metri di altezza, sulle Ande Argentine e il mio ostello si ergeva alle pendici della salita più ripida di un paesino sperduto. Il milanese si crogiolava al sole da qualche giorno, passando il tempo a sorseggiare mate e a decantare le lodi della lentezza, mentre gli altri avventori, io e due francesi, eravamo lì per scarpinare freneticamente e sfidare i polmoni. Interrogato, affermò fiero di aver venduto la sua attività e di essere pronto a viaggiare per almeno cinque anni. Guardando le nuvole vicine, soppesavo il mate che mi aveva passato, quando disse “Sia ben chiaro: mi considero un viaggiatore, non un turista”.

Questa frase mi ispira diffidenza. Ammetto che probabilmente ho pronunciato parole simili più di una volta, ma il senso non mi è ancora evidente. Cosa sono io? Un viaggiatore o un turista? Cosa c’è di eroico nell’essere un viaggiatore? E cosa c’è di umiliante nell’essere un turista?

Nelle persone con cui mi è capitato di confrontarmi, risiede un certo stereotipo secondo cui il turista è uno scialacquatore di soldi, superficiale, irrispettoso dei costumi locali, irrimediabilmente attirato dalla massa. Il viaggiatore è invece visto come l’eroe che sfida l’ignoto, lo squattrinato che familiarizza con la gente del luogo, l’esploratore introspettivo in cerca di avventure mistiche.

Cosa siamo noi? Chi vorremmo essere? Nessuno dei due. O forse entrambi.

Il turismo di massa apre le porte al cemento e all’avidità, alle torme di flash fotografici e ai bus in coda per il parcheggio. Ma d’altra parte, se sei ad Agra e non ammiri il Taj Mahal non sei né un turista né un viaggiatore, ma più probabilmente un ipocrita. Il turismo, in fondo, è la principale fonte di sostentamento di molte zone benedette da zaini in spalla così come da maxi resort. Con la conseguenza che probabilmente si rischia di fare del bene pagando il biglietto per la città in rovine dei Maya, piuttosto che partecipando a un progetto di “volontariato” usa e getta a pagamento per una improvvisata organizzazione senza credenziali e dall’accento troppo inglese.

In realtà proprio chi si auto-investe del titolo di “perfetto viaggiatore” si sente spesso in diritto di far propri dei costumi che non gli appartengono, di entrare in luoghi a cui non è ammesso, di molestare il corso di vite aspre. Però se non hai uno zaino in cui conservare la tua vita, forse non stai davvero viaggiando.

Non viaggeremo per provare sensazioni estreme, per sfidare noi stessi in imprese d’altri tempi, per illuderci di esplorare un mondo già conosciuto. Ma neanche per chiuderci in albergo con la vasca idromassaggio, per camminare scortati da una guida impertinente, per godere del cambio di valuta favorevole.
Non saremo solo turisti, né solo viaggiatori. Ci immergeremo negli occhi della natura, della storia e del presente con il filtro dei nostri sguardi.

Ande - Patagonia argentina

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