Viaggio a piazza Vittorio, storia di Ivan

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Non ero mai stato al mercato di Piazza Vittorio, a Roma. Mercato storico di Roma capitale. Nacque in modo quasi spontaneo. Agli inizi del 900 il comune non aveva ancora stabilito l’assegnazione delle aree destinate ai mercati rionali ma i primi venditori, per lo più contadini, cominciarono ad occupare quest’area dall’ubicazione strategica, vicina alla Stazione Centrale ed ai nuovi mercati generali di Viale Manzoni.

In principio fu solo mercato ortofrutticolo, poi col tempo si aggiunsero ulteriori banchi di generi vari fino a diventare uno dei mercati rionali più famosi e con i prezzi più convenienti. Nel 2001, dopo lunga fase di preparazione, si trasferisce nella location più salubre della Caserma Sani ex Caserma Pepe, e diventa il ” Nuovo Mercato Esquilino” ma per tutti a Roma resta il mercato “di Piazza Vittorio”.

Io non avevo mai visto né la piazza né il mercato, in trenta anni d vita a Roma, praticamente una vergogna. Così sono partito.

Costeggiando la stazione lungo via Giolitti ad un certo punto, passi l’incrocio con via Rattazzi e ti rendi conto che Roma non c’è più. O almeno che le cose sono cambiate, la città è cambiata. Certo c’è un’aria di abbandono e di trascuratezza, non arrivano più gli echi di un parlare in dialetto romanesco inciso e a tratti sguaiato. Cambia la musica, i suoni, gli odori. Quello del kebab prevale assoluto.

Ancora pochi passi e la struttura del mercato appare in tutta la sua grandezza. Entri da uno dei tanti ingressi e sembra di essere al centro del mondo. Mille voci, quasi tutte urlate, reclamizzano frutta verdura, pesce, carne, dolci, pane. Nell’altro edificio i banchi non alimentari, ma dopo pochi passi ti rendi conto che questa è la parte più importante, quella che continua la tradizione ma la rinnova in un tripudio multietnico straordinario.

Fotografare non è facile, mi rendo conto subito degli sguardi un po’ sospettosi, un po’ indagatori. A quanti di questi venditori dell’ultima generazione corrispondono immigrati regolari? Ognuno ha le sue buone ragioni per non voler essere immortalato. Allora continuo il giro, cercando delle riprese panoramiche. Mentre cammino mi rendo conto che frutta e verdura hanno prezzi molto lontani da quelli che incontriamo nei nostri supermercati, sopratutto del nord e la scelta è certamente più ampia. E’ difficile non ascoltare questa grande banda multietnica che suona, cha canta e che ti accompagna in questo viaggio colorato. Questo mercato è uno spettacolo per gli occhi, per l’olfatto ed anche per le orecchie. Forse non è un caso che qualcuno abbia pensato di farla diventare anche un’esperienza musicale: “l’Orchestra di Piazza Vittorio“.

Poi esco, la giornata si è aperta ed un sole invernale riscalda l’aria come può. Voglio andare a vedere dove stava tutto questo mercato fino a pochi anni fa. Così mi inoltro e via Mamiani mi porta fino alla grande piazza. Davvero grande, una delle più grandi di Roma. E bella, fa pensare a Parigi o a Londra, con il suo grande giardino in mezzo chiuso da una cancellata in ferro battuto.

Entro nel giardino. E’ molto grande, uno stormo di piccioni decolla e faccio appena in tempo a fotografarli. Mi piace questo posto e mi siedo su una panchina per riguardare le foto che ho scattato e fumare una sigaretta. Mi concentro sul piccolo display e non vedo l’uomo che mi si siede accanto poco discosto.

Poi ad un certo punto è direttamente lui a farsi sentire. Con la voce impastata biascica qualcosa. Vuole una sigaretta, gliela do. Mi sorride con gli occhi piccoli e toccandosi la testa con una mano, quasi a chiedere scusa. Parla un italiano stentato ma si capisce che viene dall’est e che è ubriaco. Dalla Russia, dice, e si chiama Ivan. E’ in Italia da quattordici anni. E da Mosca è venuto con la moglie Katarina ed il figlio Sergej.

Perché è venuto in Italia – chiedo – problemi politici? Non risponde, fa una smorfia, abbozza un sorriso. “Io sono un bastardo – mi risponde poco dopo – anzi no, un ubriacone, sono un ubriacone“.  E comincia  a raccontarmi di Sergej che lo riempie di orgoglio perché studia all’università e presto prenderà una laurea in ingegneria. Ma soprattutto perchè gioca a pallanuoto.

E va vanti un pò questo piccolo incrocio di vite. Capisco che probabilmente è dovuto venire via dalla russia perché da alcolizzato non trovava più lavoro come camionista. La moglie, donna tostissima,  lo deve aver trascinato via da qualche brutta storia e lo ha convinto a trasferirsi in Italia, a Roma, dove ha già dei parenti che vivono.

Poi le cose non sono andate bene. Lui riprende a bere anche qui, consuma tutti i soldi che hanno messo da parte e allora Katarina decide di mettersi in salvo con il piccolo Sergej. Tocca sempre alle donne fare le scelte difficili ma necessarie. Ivan non ce la fa, può solamente perdersi in un sorriso, appresso a qualche  sogno lontano.

Penso alla giovane Katarina e me la immagino mentre va in giro a servizio da qualche famiglia dei Parioli, o magari a pulire scale in qualche condominio, sempre di corsa, sempre con la preoccupazione di Sergej che forse l’aspetta già a casa o è in giro chissà dove, sempre con un dolore rassegnato per Ivan che sarà perso dietro a qualche bottiglia.

All’improvviso sembra riemergere dal sogno, vuole andare via. Si fa fare una foto, è quasi contento che gliela chieda, ma poi si accomiata con un “grazie per la collaborazione” che la dice tutta. Non ha tempo neanche per prendere un caffè che vorrei offrirgli. Deve tornare a casa, alla Rustica, piccolo avamposto di dolore sul “Sacro GRA”. Addio Ivan, buon 2014.

 

Sergio Vollono

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