Bangkok, un the a casa Terzani

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Siamo arrivati in Sud Est asiatico con una copia di “Un indovino mi disse”di Tiziano Terzani sotto al braccio. Libro interessante perché per in ogni Paese che abbiamo visitato abbiamo trovato degli spunti; maturo perché frutto di una lunga convivenza con i popoli asiatici; intelligente perché in questa regione di mondo non puoi non confrontarti con l’astrologia, la superstizione, la magia o, per qualcuno,  la fede. Non puoi, oppure non capirai mai perché si spostano finestre, tombe e intere capitali di Stati, saltano matrimoni e rapporti d’affari solo perché lo suggerisce un indovino. Non entrerai in sintonia con le persone, rischierai di partorire pregiudizi e che i pregiudizi si portino dietro una serie di idiozie o per lo meno di notizie incorrette.
Tra le altre, mi ha colpito la descrizione della casa di Terzani a Bangkok, “Turtle house”. La dipingeva come un pezzo d’Asia in un mare di cemento che stava diventando la capitale tailandese: una casa tradizionale in legno, con un laghetto, circondata dal verde, confusa tra grattacieli e grandi hotel in costruzione. Un posto per staccare la spina, perfetto per pensare.

La casa Terzani, oggi.

Così arrivati a Bangkok dal Nord (dove si possono trovare ancora posti autentici) non potevamo non cercare Turtle House, per capire che fine avesse fatto. Terzani e la sua famiglia dovrebbero averla lasciata nel 1994, quando a lui (era corrispondente per il giornale tedesco Der Spiegel) fu offerta la corrispondenza dall’India. Dalle poche notizie che siamo riusciti a trovare in rete, la casa dovrebbe essere passata a un australiano, poi nel 2010 trasformata in ristorante di tapas e chiamata Lake House. E qui si fermavano le nostre notizie. Siamo andati a verificare e sì, è ancora un ristorante, ma non più di tapas. Ora la gestione è cambiata ed è diventato un ristorante di lusso tailandese, nel quale potevamo permetterci soltanto un the.
Il nome originario resta inciso su una ruota, all’entrata. C’è una casa principale in legno, che è il ristorante, una dependance più piccola, un albero sicuramente secolare benedetto dai monaci, il laghetto con pesci, tartarughe e un grosso getto d’acqua al centro che credo sia stato aggiunto ultimamente (non è male però, copre il rumore del traffico intorno con quello dell’acqua).
Mi aspettavo una targa commemorativa o qualcosa del genere, invece niente. Solo una cameriera altezzosa: “Mangiate qui?” “Prendiamo solo un the. Possiamo visitare il ristorante? Sa, è una sorta di casa storica, ci vivevano due scrittori famosi e…” mentre parlavo lo sguardo della signora si rivolgeva verso l’alto, in segno di noncuranza o di fretta, vai a capirlo, e il tono della sua voce si faceva annoiato “No, non lo so. Volete sedere fuori o dentro?” “…va bene fuori…” Ma dentro di me pensavo (in versione censurata) “Va bene fuori, ma togliti dalla faccia quell’espressione boriosa e abbi un po’di rispetto per la letteratura”.
Dal giardino ho capito quello che Terzani intendeva dire. Tutto intorno la città pullula, corre, soffoca e lì, in mezzo al verde, al lago, sembra che il tempo rallenti, sembra di entrare in un’altra dimensione. Ho fatto dei giri e ho trovato quattro case degli spiriti, che gli inquilini costruiscono appena prendono possesso di un’abitazione per ingraziarsi le anime buone. Non credo che i nuovi arrivati possano rimuovere una casa degli spiriti costruita in precedenza e una di queste quattro ha due miniature inginocchiate che potrebbero ricordare Tiziano Terzani e Angela Staude (lui ha anche i baffi bianchi, come Terzani ai tempi tailandesi). Potrebbe essere però soltanto frutto della nostra voglia di ritrovare un po’della famiglia Terzani-Staude in quel ristorantino poshy che troppo stride con i nostri scrittori. L’idea che ci sia ancora la loro casa degli spiriti ci è piaciuta.
Ma a Bangkok esiste un altro eccezionale esempio di architettura tipica tailandese, un po’ rivisitato, eppure sempre rispettoso dei dettami della tradizione. È la vecchia casa di Jim Thompson. Americano, ex agente della Cia, riciclatosi in Thailandia come imprenditore della seta, una storia torbida alle spalle, perché scomparso in circostanze sconosciute durante un viaggio in Malesia nel 1967. Nello stesso anno la sorella fu assassinata negli Stati Uniti, dando adito a varie teorie cospirative. La casa a ogni modo è un piccolo museo, con una collezione privata e preziosissima di Buddha antichi, mappe, porcellane e dipinti. Ma è anche l’assemblaggio personale di sei case tradizionali smontate e rimontate secondo un suo stesso progetto in un’unica abitazione. Ammirando gli intagli e le rifiniture in legno, un turista americano si è chiesto se esistano ancora, nelle zone periferiche del Paese, case di questo tipo.
Certo che esistono. Basta uscire un attimo dal percorso classico per accorgersi che c’è ancora tutto un mondo quasi incontaminato. Noi l’abbiamo fatto ed è stata un’esperienza unica. L’occasione ce l’ha data, ancora una volta, il Couchsurfing. Nim, la nostra ospite, vive con la madre e il suo bimbo di un anno a Ban Nammuab un villaggio del Nord-Est. Non c’è nulla, se non una cinquantina di case tipiche interamente costruite in legno, con due tronchi interi e grezzi di alberi a fare da colonne portanti delle entrate,  un piccolo negozio e il bar che Nim ha aperto nel giardino di casa da quando le è nato il piccolo.
Così i ragazzi del villaggio hanno un luogo di incontro per quattro ore al giorno, dalle 18:00 alle 22:00. La vita naturalmente scorre lenta e molto diversa rispetto a quello a cui siamo abituati. Tanto che un giorno Nim ci ha portati con lei a fare una sorta di “spesa proletaria” nella foresta. Un salto al fiume con il retino, per vedere di recuperare qualche pesce per la cena e via nel bosco, a cercare le verdure selvatiche, le migliori. “Non toccare quello!! Ti fa venire l’eritema” “Quel verme giallo è bellissimo, ma è velenoso” “Ecco, queste foglie sono ottime”. Sapeva tutto, incredibile, è stato come andare in gita con le Giovani Marmotte, in un fumetto di Topolino. Solo che per loro quella è la quotidianità. Ancora per poco, si presume, perché il bosco, tutto intorno alle colline, viene bruciato ogni mese di più. “E’ colpa delle coltivazioni di mais, la gente vuole guadagnare tanto e sta bruciando tutto”. E torna il vecchio problema dell’agricoltura “taglia e brucia”che anche qui non ha controlli e lascia terra brulla dietro di sé. Nim gira con noi, ci spiega tutto, raccoglie e fotografa. “Faccio tante foto” ci dice “perché se domani non c’è più niente, non voglio che mio figlio si perda tutto questo”.
Maria Elena Ribezzo e Marcello Passaro

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