Intervista a Wu Ming 1: ecco i cent'anni di un Nordest figlio della Grande Guerra

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Cent’anni a Nordest” (Rizzoli) è un libro su terre “estreme” in ogni senso, o quasi. Estreme perché “termine ultimo” di una fetta d’Italia e perché territorio storicamente contrassegnato da fenomeni politici estremi. Inevitabile, quindi, che se ne occupassero i Wu Ming in forma singola o plurale. Su “Internazionale” prima e sul saggio edito da Rizzoli poi, Wu Ming 1 ha cercato, quindi, di comprendere le ragioni di questo “estremismo” del Nordest e ha azzardato una risposta: c’entra la Grande Guerra.

Il libro verrà presentato il 3 novembre a Bolzano (Aula magna del liceo classico Carducci ore 18) e il 4 novembre a Trento (Centro Sociale Bruno ore 20.30), ma per comprenderci meglio, il Nordest di cui si occupa Wu Ming 1 è formato dalle “Tre Venezie” con l’aggiunta, che definisce “alquanto posticcia”, del Sudtirolo”. Un Nordest che l’autore considera figlio primogenito della prima guerra mondiale. L’intervista parte proprio da questo, perché qui (a Bolzano) nel capoluogo della zona “posticcia” nata nel 1918, è difficile credersi figli solo della Grande Guerra.

Non credi che il fascismo prima e le Opzioni poi, abbiano influenzato in maniera determinante gli esiti possibili in Alto Adige/Südtirol? Ma, allargando lo sguardo, Trieste sembra molto diversa da Udine, così come Venezia da Treviso. Cosa le accomuna a tuo avviso?

“Il  qui di cui stiamo parlando, prima della Grande guerra, non esisterebbe nemmeno. Non esisterebbero gli attuali confini della provincia di Bolzano e quindi la sua identità amministrativa, i suoi rapporti col governo di Roma. Non esisterebbe l’attuale composizione etnica e linguistica, con le percentuali di italofoni e germanofoni e le culture/memorie divise. Non esisterebbe molta dell’attuale urbanistica di Bolzano e altre città di fondovalle, né alcuni elementi-chiave del paesaggio. Non esisterebbe gran parte della doppia toponomastica che caratterizza quella terra. Tutto questo è conseguenza diretta dell’annessione italiana del 1918, che è la madre di tutte le condiciones sine qua non. Certo, è forte anche l’influenza della seconda guerra mondiale, che però fu una conseguenza della prima. Lo scoppio della guerra del 1939-45 fu determinato dagli esiti ambigui di quella del 1915-18: il cosiddetto assetto di Versailles e l’instaurazione dei regimi fascisti. Inoltre, la seconda guerra mondiale lasciò il confine settentrionale d’Italia dov’era prima. Trieste divenne italiana nel 1918 e molti dei discorsi appena fatti per l’Alto Adige valgono, mutatis mutandis, per la Venezia Giulia. Prima della Grande guerra, il termine stesso “Venezia Giulia” era utilizzato molto di rado, perché portava con sé un’implicita rivendicazione irredentista, e l’Italia era alleata dell’Austria nella Triplice. Entrò prepotentemente in auge nel 1915. A Trieste e dintorni sono visibilissime anche le fratture lasciate dalla seconda guerra mondiale, ma pure in quel caso, quelle fratture avevano origine negli esiti della guerra precedente. Prima del 1918 nemmeno il Friuli esisteva come è percepito oggi, perché il Friuli orientale era parte dell’Austria e il Friuli occidentale era generalmente considerato parte del Veneto. Il Veneto stesso era diverso, perché Verona e Belluno erano città di confine, ultimi avamposti prima dell’Austria, e con la guerra il paesaggio veneto subì una trasformazione radicale. Insomma, l’intero Nordest d’Italia come lo vediamo oggi sulle mappe è un territorio definito dalla Grande guerra”.

La domanda precedente è figlia de un ragionamento complessivo sulla memoria italiana. Le fratture della prima guerra mondiale, presenti nel Nordest, si sommano alle fratture della seconda guerra e a quelle del dopoguerra. Sono quelle elencate da John Foot in “Fratture d’Italia” e attraversano larga parte d’Italia. Non pensi esista una “faglia” precisa che abbia originato tutte queste fratture? Nel caso, quale?

“Bisogna essere consapevoli che non esiste mai un solo punto d’origine. L’Origine di qualcosa, il momento in cui comincia un fenomeno, una tendenza, una storia, è sempre una costruzione a posteriori, una semplificazione. Non esiste Origine, si può sempre andare più indietro. La Grande guerra è una cesura netta, ma il paese si era già diviso per la guerra di Libia, e del resto si era “unito” appena cinquant’anni prima. Per capire le attuali memorie divise si deve risalire alla nascita della italianità come mito politico, e quindi al romanticismo e al Risorgimento, per poi ridiscendere al modo in cui fu realizzata l’Unità d’Italia, e da chi. Per fare questo sono preziosi gli studi di Alberto Mario Banti, i cui libri consiglio vivamente”.

Domanda più “personale”: mai avuto ripensamenti sull’identità collettiva dei Wu Ming? Quindici anni dopo sono ancora valide le motivazioni che vi hanno spinto a quella scelta?

“Non solo non abbiamo ripensamenti, ma la dimensione collettiva del nostro lavoro è diventata ancor più collettiva. Come spiego nella parte del libro intitolata Un altro viaggio lungo e strano, oggi il collettivo Wu Ming strettamente inteso è solo il nodo più visibile di una rete di comunità e gruppi di lavoro nati soprattutto intorno al nostro blog. Così capita che un membro di Wu Ming sia al tempo stesso membro di diversi altri collettivi: io faccio parte di Wu Ming, del gruppo Nicoletta Bourbaki che cerca di mappare il revisionismo storico di destra su Wikipedia, del gruppo Alpinismo Molotov che si occupa di montagna e conflitto sociale, del gruppo Resistenze in Cirenaica che porta avanti iniziative nel rione Cirenaica di Bologna ecc. ecc”.

Massimiliano Boschi

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