L’arrivo ad Herat

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Trascorsa una nottata pressoché tranquilla e “passabile” nell’aeroporto degli Emirati, mi ritrovo in un altro aereo per trasferirmi, questa volta definitivamente in terra afgana.

La notte, come sempre, dicono che “porti consiglio”,…. ormai sono entrato quasi definitivamente nella “mentalità” di questo viaggio appena iniziato da quasi due giorni, che mi ha già fatto capire parecchio…

Stefano l’ho in  pratica perso di vista, una volta atterrati ad Al Bateen ieri sera, nella “confusione generale”, tra discese e risalite da aereo a navetta, recupero di bagagli da reimbarcare per il nuovo volo, perdite di tempo, ognuno ha in pratica, “preso la propria strada” : sicuramente sarà anche lui su questo aereo quì con me, ma tra i tanti volti non lo riesco a vedere.

A proposito di “quest’aereo”: mi sembra di vivere in un film dove io stesso sono il protagonista principale, mi sento come “la telecamera soggettiva che segue la scena ripresa con i miei occhi e riprende, trasmettendo così come io vedo i momenti!”

E’ uno di quei aerei militari, color grigio-metallo, i sedili sembrano panche messe di traverso e noi seduti qui uno accanto all’altro: è come se stessi rivivendo qualche scena di “guerra” in uno di quei famosi films americani ambientati in situazioni belliche.

Allo stesso tempo rifletto e mi sembra tutto surreale: …sono proprio io, sono io che sto andando in Afghanistan…

Il pensiero in realtà mi crea qualche sconforto in questo momento, ieri ho sentito mia moglie a telefono, mi è sembrata tranquilla e quasi….rassegnata, ha passato il telefono ad Alessandro, ho provato a scambiare qualche parola, lui con i suoi “versi” e piccoli accenni di parola mi ha dato l’impressione che avesse riconosciuto la mia voce: chissà quanto mi mancherà nei prossimi giorni.

L’aereo nel suo interno, da vero velivolo militare è rumoroso, il suono è assordante e …“metallico” per l’appunto…, indossiamo le cuffie per proteggere i nostri timpani, qualcuno per conto proprio legge, qualcuno si guarda intorno, non c’è possibilità di comunicare tra di noi: c’è chi lo fa con qualche gesto o qualche sguardo.

Un viaggio trascorso in questo modo e per qualche ora, ci ha permesso di poter “recuperare” negativamente le ore precedenti, che forse erano migliori in quanto vissute con una qualità sicuramente più confortevole: ma va bene così…

Una volta toccato il suolo afgano, il velivolo ha emesso un rumore di tonfo, accompagnato da un leggero ma efficace tremolio che ha scosso l’intero abitacolo, facendo svegliare quasi di soprassalto chi fino a quel momento era riuscito a concedersi un sonnellino.

“Finalmente… il suolo afgano, siamo ad Herat!” – E’ stato il pronto commento di qualcuno.

Aperti i portelloni siamo scesi, la luce accecante di un sole giallo impallidito dai riflessi grigi del cielo, il caldo secco, l’aria calda versione-fohn e polverosa, le montagne biancastre in lontananza che fanno da cornice ad uno scenario accattivante e per nulla smorto: “Questa è l’Afghanistan” – Ho pensato e mi son detto.

Questa è stato per me l’impatto istantaneo col paese dell’oppio.

Non ho tempo di contemplare ampiamente il paesaggio, “dobbiamo assolutamente allontanarci dalla pista, è pericoloso stare qu!ì” – ci dice chi ci ha accolto…

In breve io e i miei compagni di viaggio siamo “scortati” fino ad una sorta di “check-out” procurato all’interno dell’aeroporto per il ritiro di documenti, controlli e procedure dovute e necessarie per chi come noi ha appena messo piede ad Herat…

Da questo momento in avanti si aprirà per me una nuova realtà….

Sono confuso e penso a ciò che potrà succedere nei prossimi istanti…

QuattroGi

(Giovanni Quattromini)

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