Le mimose che nessuno coglie: la costa Locride

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locrideAnche negli inverni meno miti di quello attuale, sulle coste della Locride i fiori di mimosa sbocciano ben prima di marzo. In genere, quando gli emigranti tornano dal Nord per le vacanze di Natale, i primi bagliori di giallo si intravedono, fra gli alberi di ulivo e gli aranceti delle vicine campagne. Nella mia immaginazione, ho sempre creduto che quei fiori portassero la storia delle gelsominaie morte di fatica durante il XIX secolo. Non molti sanno, infatti, che questa terra prende il toponimo di Riviera dei Gelsomini, dalle donne che per un lungo periodo della storia della Calabria, piegavano la schiena sulla terra per raccogliere quei fiori che poi avrebbero venduto ai distillatori di profumo francesi. Per questo immane lavoro, venivano pagate non più che qualche lira, in base al peso delle ceste che consegnavano nelle cascine dei latifondisti. Nella maggior parte delle famiglie, questi piccoli redditi servivano ad integrare le rimesse dei mariti emigrati al nord, od oltreoceano.

Ai giorni d’oggi, la condizione femminile nella Locride è estremamente variegata. Accanto a famiglie, soprattutto nei comuni più ricchi, che danno alle proprie donne il capitale culturale e sociale per costruire un avvenire degno a livello professionale e famigliare, ci sono piccoli centri a grande penetrazione mafiosa, soprattutto nell’entroterra, ove la loro condizione non è di molto migliorata rispetto a quella delle gelsominaie. La maggior parte di loro, soprattuttto in campagna, svolge il ruolo di casalinga, segue le funzioni religiose mentre gli uomini attendono fuori dalla chiesa, partecipa a complesse catene di interscambio di piccoli beni fra famiglie, che migliorano la sopravvivenza, in una situazione di sussistenza. Fra vicine di casa, ci si scambia i fichi, l’olio portato al frantoio, i guanciali di lardo, i capi di salame, le pizze di san Martino a Natale, la pastiera napoletana a Pasqua. Fra vicine, ci si scambiano piccole cifre, 50, 100 euro, per finire il mese; e si parla dei propri mariti insopportabili, o dei propri figli che non trovano lavoro. Nelle famiglie dei carcerati, in particolare, le donne mantengono in vita il patrimonio, curano i possedimenti, e le piccole agricolture. Accanto a loro le mimose vivono per diversi mesi. E come per rispetto, o forse per desistenza, nessuna di loro osa raccoglierle.

Vincenzo Romania

Tratto dal sito di Vincenzo Romania: vi consigliamo di darci un’occhiata, ne vale la pena.

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