Un anno da insegnante nello Zhejiang. Diario cinese / 1

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A settembre è iniziata la nostra avventura cinese.

Premetto che io, in Cina, ci ero già stata durante l’anno sabbatico che mi ero presa alla fine di quella che si era rivelata essere una stressante, infinita, logorante triennale, e non vedevo l’ora di ripartire: mi era piaciuto insegnare in una provincia sperduta a quei bambinetti in divisa che non avevano mai visto un “laowai”, uno straniero, in vita loro! Mi sentivo un’aliena ma il lavoro era divertente, la gente accogliente, e i posti che ho visitato prima di rientrare in Italia mi avevano lasciato così a bocca aperta che non vedevo l’ora di ritornarci. E così a fine maggio abbiamo lasciato l’Ungheria per tornare in Italia, laurearci per la seconda volta, e iniziare la lunga burocrazia che ci avrebbe permesso di lavorare nello Zhejiang per un anno.

Purtroppo questa seconda volta è stata disastrosa.

Sono passati ormai alcuni mesi da quando abbiamo lasciato la Cina, e devo ammettere che non ho ancora rielaborato la delusione. Da una parte il cuore mi dice “torna e riprova”, dall’altra il cervello urla “non hai proprio imparato nulla!” Voglio credere che gente così gretta, inospitale fino all’ostilità, adorante di regole senza senso, stakanovista contro ogni logica e con il cibo più cattivo che io abbia mai mangiato, si trovi solo nella città in cui vivevamo (con la sua sporcizia da favelas o da borgo medievale, fogne a vista e orde di blatte e scarafaggi). Voglio credere che fosse il caldo tropicale, e quindi la perenne fiacchezza che ne deriva, ad avere questi effetti sulla gente e cerco davvero di non generalizzare. Non voglio credere che in soli due anni il popolo che tanto mi era mancato si fosse a tal punto imbruttito e incattivito.

Se per caso aveste voglia di andare ad insegnare in Cina magari potreste contattarmi, entrerò maggiormente nel dettaglio e potrei aiutarvi a non rifare i nostri stessi errori ed evitare di essere fregati, magari intrappolati in una città che somiglia più ad un rigurgito di cemento in mezzo al nulla che ad un centro abitato da esseri umani, e schiavizzati da un sistema che se ne frega dei contratti (soprattutto dei contratti in inglese).

Detto questo, non vi preoccupate! I prossimi post non saranno una lamentela a puntate della nostra avventura, ma vogliono farvi conoscere ciò che di davvero meraviglioso abbiamo trovato in Cina, e magari invogliarvi a visitare questi luoghi prima che l’espansionismo cementifero pazzoide di questo paese ricopra anche la zona dei grandi laghi al confine col Tibet, o i pascoli della Mongolia Interna, con rifiuti e asfalto. Avremmo voluto vedere molto di più, ma la Cina è enorme e così incredibilmente diversa. Sicuramente torneremo, magari tra qualche anno, e decisamente solo in versione “turisti”!

Silvia La Mura
At the end of the rainbow

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