A passeggio per il bazar di Herat

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Prima domenica in terra afgana: ma di “afgano” ancora ben poco…Nessun contatto ancora con la popolazione, nessuna “fonte” del posto che possa darmi spunti, idee, sfumature che mi possano aiutare ad ottenere notizie, nozioni, esperienze capaci di condurmi in questo mondo, scoprire questa realtà, conoscere la verità

Ancora intorno a me mimetiche verdi, polvere, mezzi, armi e … briefings di “benvenuto”…Frastornato, elaboro tutto quello che mi si presenta davanti: dimistechezza ancora da acquisire coi luoghi da frequentare durante il lavoro e nei “ritagli” di vita che trascorrerò prossimamente qui..

Dovrò entrare più nel merito di ciò che sarà il mio lavoro qui, i tempi “burocratici” per poter sistemare la mia posizione nell’intero dell’organico e gli affiancamenti da fare.

Incontro gente (saremo più di tremila qui…), qualcuno del posto l’ho visto ma nulla di più: c’è chi lavora nella logistica, chi fa lavori manuali dandoci ottimi contributi.

Ad oggi solo più “intimi” contatti con miei connazionali e chi prima di me è arrivato già da qualche mese ed è in procinto di tornarsene a casa.

Riconosco a vista quelli come me: facce che ricordo di aver visto durante le “interminabili” ore di viaggio ed hanno anche loro lo sguardo di chi deve ancora integrarsi con l’ambiente, basta vederli! Sono espressioni di chi ancora non si rende conto dov’è: pesci fuor d’acqua..ed io … uno di loro!

Mi piacerebbe raccontare di quest’esperienza, mettere nero su bianco, prendere questa situazione come un’opportunità da divulgare attraverso le mie sensazioni, emozioni vissute in prima persona, paragonarle con quello che i media riportano ogni giorno di questa guerra, grazie a materiali da me raccolti.

Sono assoggettato da regole cui, tutti gli altri “civili” non ne hanno, indosso stellette e divisa, ma anche io vivo i miei momenti, passioni…riportare tutto questo entra nelle mie idee. La famiglia, un figlio, il mutuo, le bollette da pagare …risulta per me sempre più difficile fare questo per me…: ecco perché questa è un’ottima occasione da sfruttare, ci proverò…Tre giorni di “magra” assoluta questi come dicevo, mi chiedo se nei prossimi giorni mi capiteranno veri contatti con la realtà del posto: in tal caso non riuscirò mai a fare ciò che è nel mio intento….

Settimana puntata

Opportunità: un giro per i mercatini nel pomeriggio, chiamati bazar”, qui.

E’ un’area appena in prossimità dell’ingresso della base, è adibita alla vendita di mercanzie da parte di venditori ambulanti locali.

I venditori sono persone di Herat o chi vive in prossimità della provincia, addirittura dicono che c’è chi viene da fuori, tipo dal Tajikistan o altri Paesi qui vicino….Il fatto che vengano a vendere e “noi” che acquistiamo i loro oggetti, resta una specie di accordo stabilito qui tra occidentali e la gente del posto: un modo dunque, per avvicinarci ancora di più a questa cultura.

In questo primo pomeriggio, una domenica molto soleggiante e un caldo “cocente”…insieme ad un piccolo gruppetto di colleghi sono andato a “scoprire” i mercati, i “bazar” di Herat. Neanche a dirlo e in poco tempo, appena arrivati perdo la mia “comitiva” e mi ritrovo da solo a visitare le bancarelle: una grossa moltitudine di gente, un via vai di mimetiche impressionante che mi ha disorientato e ho perso di vista tutti i miei compagni di passeggiata…

Non mi preoccupo tanto, dopotutto potrei ritrovarlo, egoisticamente mi va bene: è un modo per godermi da solo questa “novità” e presto scopro che quella dei “mercatini”, è l’occasione giusta per diversificare la routine quotidiana.

Un modo per staccare dalla vita in base e anche dai rischi, credo che sia lo stesso anche per questa gente che viene a vendere la sua merce: noi abbiamo la possibilità di conoscerli da vicino e comprare qualcosa di particolare da portare a casa e per loro una possibilità per fare piccoli affari, credo, sia economicamente che “moralmente”.

Questo sarà il primo vero contatto che avrò con qualcuno del posto e passando tra le bancarelle, i venditori mi hanno destato parecchia curiosità.L’area che è stata concessa a loro è vasta quanto una piazza di una piccola città, più o meno: lo spazio necessario per piazzarci alcune bancarelle, cercando di accontentare quanta più gente possibile.

Accedendoci, è sembrato quasi di vivere un film già visto: uomini vestiti in abiti larghi e di svariati colori per la maggior parte, alcuni invece, “all’occidentale”, sono là a “trattare” con i clienti.

Passo per le bancarelle e guardo la merce: pietre, bracciali, abiti, foulard, pashmine, tappeti, souvenir,…:il tutto è contornato da un gioco di colori, movimenti lesti, via vai di gente, rumori di voci e passi nel selciato,… Mi sembra di essere tornato indietro di anni, quando da bambino mia madre mi portava al mercato rionale: ricordo come i venditori, vociferando e richiamando le loro attenzioni in tono alto, mostravano i propri prodotti e le donne che visionavano le mercanzie, commentavano e compravano: i tipici mercati che esistono tutt’ora, sopratutto nell’Italia meridionale, stesso scenario, cambia solo l’ambiente e la situazione.

Sono più “interessato” ad osservare i venditori che la merce, mi accorgo che sono tutti uomini: segno di quanto la donna conti qui….

Ciò che mi sorprende è la loro “strana tranquillità”, ti guardano e sorridono: “My friend!” – mi esclama uno di loro, pensando che sia interessato a comprare qualcosa. Si avvicina e mostrandomi i suoi orologi e bracciali, cerca di convincermi a comprarli. Qui è materiale che arriva dalla Cina e da Dubai e i prezzi sono irrisori, ma io non sono interessato a comprar nulla. Il suo sguardo e la sua “disponibilità” da venditore, vincono però, quasi vorrei acquistare qualcosa.

Invece di chiedergli degli orologi gli chiedo come si chiama, “My name is Ismael!”-mi risponde -.  “And you?”

“I’m Gianni”– gli rispondo.

Lo guardo e ogni tanto osservo anche i suoi “colleghi”: mi sorprende che tanti, nella loro compostezza e quasi “timidezza” sembrano restare “al proprio posto”, quasi che non vogliano “dar fastidio” o non essere invadenti con noi “occidentali”….Ma siamo noi che siamo nella loro terra!

Negli sguardi di questa gente leggo rassegnazione e allo stesso tempo tranquillità: sono occhi che appartengono a chi col dolore e la sofferenza ci convive.

Mi rivolgo al mio “venditore” Ismael e nonostante la confusione provo a parlarci.

Mi accorgo che oltre a sapere qualche parola di inglese, parla in italiano, segno di anni di nostra presenza in Afghanistan. Lo guardo, lui mi sorride, avrà credo circa la mia età, è alto, indossa abiti larghi e chiari con dei sandali, scuro di carnagione, ha una barba folta, lunga e nera.

“Come va?” -gli chiedo (mi viene di parlargli in italiano). Lui con un altro accenno di sorriso: “Molto bene!” -mi risponde.

Sei di Herat, Ismael?”– gli chiedo. “Si, otto chilometri fuori”-aggiunge.

“Come vanno gli affari, si vende sempre qualcosa?”– Non mi interessa tanto come vadano realmente i suoi affari nelle vendite, ma uso la domanda semplicemente per provare ad instaurare un dialogo con lui.

“Bene, grazie!Gli italiani sono amici, è gente che ci vuole bene, e grazie a voi qui dentro abbiamo possibilità di fare “profit”- mi dice.

Per “profit”, guadagno, capisco quanto, abbiano bisogno di vivere e fargli guadagnare qualche euro è sempre importante: è uno dei “metodi” che le forze “ospiti” hanno utilizzato per “avvicinarsi”.

“Ottimo, mi fa piacere, quanti anni hai? Ismael?”– chiedo.

“Twenty-nine, and you?”-utilizza l’inglese, questa volta.

Ha ventinove anni, è più giovane di me, anche se a guardarlo gliene avrei dato qualcuno in più.

E’ gente che non avrà una situazione facile, penso, sarà abituata sempre a lottare, a sacrificarsi, a lavorare, a condurre in pratica una vita nettamente lontana dai nostri canoni.

Dopo uno scambio di battute riferite alla situazione della sua attività commerciale, mi racconta che a casa ha una moglie e quattro figli da sfamare, resto basito pensando alla sua giovane età e alla sua numerosa famiglia: parole che mi danno la prima vera idea di quello che possa essere la cultura afghana.

Compro qualche oggetto: una cintura, una piccola torcia ed un orologio.

Lo saluto, lui lo fa, anziché per stretta di mano, poggiandosi la mano al petto e chinando leggermente il capo: una sorta di mini-inchino che poco dopo capisco: è consuetudine qui per chi rispetta in pieno le tradizioni, salutare e ringraziare in quel modo.

Mi prometto di andarlo a ritrovare nelle domeniche successive, decido di non starci tanto altro tempo a parlare: vorrei farlo lavorare, visto che i clienti che sono là per comprare sono parecchi.

Proseguo la mia passeggiata, noto un altro particolare: ad ogni bancarella, la gente, una volta scelto l’oggetto da comprare, al momento di pagare, è lì che “contratta” il prezzo!

E già…funziona proprio così: si contratta per qualsiasi cosa e alla fine l’affare và sempre in porto.

Il venditore e il compratore “concordano” il prezzo dell’oggetto:  è quasi un gioco! Il cliente arriva a dare quello che secondo lui è il  prezzo “limite”, ossia l’importo che è disposto a pagare per il prodotto in questione, dopo di ché se dall’altra parte il venditore non è daccordo, lui lascia la merce allontanandosi…, ma chissà perché, mentre sta andando via viene richiamato dallo stesso rivenditore che lo invita a concludere l’affare… Finalmente “accordano” il costo che “accomoda” entrambi…alla fine l’affare va in porto.

E’ una sorta di “legge di mercato” locale: al “bazaar” tra venditore e compratore debbono esserci sempre delle “varianti” prima che la merce venga venduta.

Non capisco se si debba al fatto che la qualità del prodotto sia effettivamente scarsa e che il venditore ci guadagna, o se lo stesso venditore ha interesse a “concludere l’affare” perché preferisce portar via qualche soldo.

Questo genere di “comportamento” durante l’acquisto, viene passato di bocca in bocca: “se devi comprare questo, mi raccomando non più di tot, se ti serve quest’altra cosa guarda che ti chiederà tanto, tu non pagare quell’importo, cerca di arrivare massimo a quest’importo qua…”.

E’ un mercato d’affari, ci si consiglia, qualcuno pensa di guadagnarci sempre qualcosa e vedo che il prodotto che va più in voga è il tipico tappeto afghano, molto simile a quello persiano.

Riguardo al genere di trattativa non ci capisco tanto, quindi non mi pongo nessun problema sulla questione.

Vedo anche che qualcuno dei nostri ha il suo venditore di fiducia che gli ha “rimediato” qualcosa richiesta precedentemente, magari di una qualità superiore.

Sono quasi due ore che giro per il mercato, i miei compagni di passeggiata non li ho più ritrovati, stanco ed esaurita anche la mia “curiosità giornaliera”, decido di tornarmene in camera, conto di ritornarci per passare a salutare Ismael, mi è sembrato un ragazzo molto simpatico, vorrei rivederlo.


QuattroGi

(Giovanni Quattromini)

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