Aerofloting back & forth (I parte)

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In itinere – Dieci giorni fa circa sono dovuta inaspettatamente rientrare in Italia, per un viaggio toccata e fuga. Per una serie di ragioni, ho volato Aeroflot, la compagnia aerea di bandiera russa, facendo scalo a  Mosca.

Era la prima volta che prendevo un volo russo, la prima volta che mettevo piede in Russia. Ne sono rimasta sconvolta, e non per le tante leggende comunemente associate al nome “Aeroflot” (sul cui servizio tutto sommato non ho nulla da ridire) quanto perché il viaggio si è rivelato una sorta di viaggio (indietro) nel tempo: sono partita dal “futuro” (la Cina), ho sostato nel  “passato remoto” (la Russia) per arrivare infine nel  “passato prossimo” (l’Italia) (o forse dovrei dire “imperfetto”, ma questo a più tardi).


Passare dall’aeroporto Pudong di Shanghai all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca è stato un vero e proprio balzo indietro nel tempo, perlomeno considerando il Terminal (F) a cui sono arrivata e da cui sono ripartita. La prima impressione è stata di ritrovarmi in uno dei primi aeroporti Ryanair, quelli che parevano dei magazzini-garage, essenziali fino all’osso. (Un po’ com’era l’aeroporto di Treviso quando era ancora un piccolo aeroporto di provincia, e le compagnie low cost ancora non esistevano.)

Il terminal F è un grande “magazzino-garage”, grigio e freddo. Tutto è grigio (a cominciare dal cielo, il giorno in cui sono atterrata), la segnaletica è bilingue e quello è tutto l’inglese che avrai a disposizione. Nessuno parla inglese, non c’è nessun information desk, il personale – con look da anni settanta – ha un’aria “spenta”, che non so se sia riflesso di noia, stanchezza, pigrizia, abitudine, o un insieme di tutto questo. Pochi negozi qua e là: tolti i classici duty free shop, qualche bancarella di tipici souvenir russi e poi tanti punti vendita di alcol e sigarette. Ad inizio mattinata, già vedi uomini che si scolano lattine o bottigliette di birra. In alcuni angoli del corridoio, è ancora concesso fumare, così, in mezzo a tutti. Al mio gate non c’era nessuna sedia per l’attesa, incuneato com’era tra due duty free stores.

Venendo dal “futurismo infrastrutturale” dell’aeroporto di Pudong, sono rimasta sconvolta. Certo, non mi aspettavo di trovarvi l’equivalente a Mosca, pero’ non mi immaginavo un tale salto indietro nel tempo. Shanghai non è la Cina e anche in Cina non è tutto oro quel che luccica, ma quello che mi sono trovata davanti a Mosca m’è sembrato uno spaccato di vita sovietica di settant’anni fa! Se tra la folla avessi intravisto passare il dottor Zhivago, lì per lì non ci avrei trovato nulla di strano, tanto meno di anacronistico. Magari non me ne sarei neppure accorta. Pensando da dove sono partite Russia e Cina meno di un secolo fa e vedendo dove sono arrivate ora, sinceramente chapeau a Pechino!

Sono questi i momenti in cui ti rendi davvero conto di che razza di passi da gigante abbia fatto la Cina negli ultimi trent’anni. Vivendo qui, infatti, tante cose finisco col darle per scontate, diventano routine e inavvertitamente spesso finisco col fare l’eguaglianza: Cina = mondo. Come se la Cina fosse il mondo intero e il mondo fosse solo la Cina. In ogni caso, tendi a sviluppare una visione sinocentrica del mondo moderno. Succede talmente tanto in questo Paese, in continuazione, che non solo mi rendo conto, ogni santo giorno, di trovarmi nell’ombelico del mondo, ma talvolta, appunto, finisco col dimenticarmi che c’è tutto un altro mondo là fuori, il Resto del Mondo. Per questo cerco di fare una capatina “nel resto del mondo” ogni paio di mesi or so, per vedere “il diverso” e rimettere un po’ le cose in prospettiva.
Il viaggio di ritorno via Mosca è andato meglio. Forse perché questa volta il termine di paragone era l’Italia e non la Cina, forse perché ora avevo idea di cosa aspettarmi, o semplicemente perché ho passato quasi tutto il transfer raggomitolata su una panchina a dormire. A riportarmi alla realtà del divario, però, nuovamente un episodio che già m’aveva colpita all’andata. Era, credo, almeno una dozzina d’anni che non mi succedeva più ma, su tutti questi quattro voli Aeroflot, non appena l’aereo atterrava, c’e’ stato un prorompere di calorosissimi applausi tra i passeggeri. Erano applausi davvero accorati, sentiti, come se il gruppo intero si complimentasse a vicenda per il buon esito di un’impresa collettiva. C’era quasi del commovente in quel gesto, il più caldo e umano che abbia altrimenti colto tra queste persone.

Aria d’altri tempi, appunto.

Silvia Sartori

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