Alterrative: parla Oscar Olivera, leader della battaglia per l'acqua di Cochabamba
Cinque continenti, 22 paesi, 266 giorni per un giro del mondo dalle modalità un po’ alternative. Anzi, Alterrative: questo è il nome del progetto che sta portando Stefano Battain e Daniela Biocca a scoprire e toccare con mano organizzazioni impegnate nella difesa del diritto alla terra, dell’accesso alle risorse e dei diritti delle donne. Teto e Bobiù, come li chiamano gli amici, hanno già una loro storia da raccontare: si sono conosciuti da cooperanti, in Tanzania, e proprio da quelle latitudini è nato un amore sfociato poi in un matrimonio. Interessi comuni e tanta curiosità, voglia di toccare con mano realtà disparate e interessanti nel pianeta. Ecco quindi che nasce l’idea del loro giro del mondo. La tappa numero otto è la Bolivia, dove Stefano e Daniela hanno intervistato Oscar Olivera, portavoce della Coordinadora de Defensa del agua y de la vida in Bolivia. Qui le tappe precedenti, a ritroso: Ecuador, Guatemala, Chiapas, Tunisi, il Marocco, Spagna e Portogallo, la California di San Francisco e Città del Messico. Qui il sito del progetto.
Questa è la storia di una guerra, una guerra fra un popolo e un élite politico-economica, una guerra fra chi considera l’acqua un bene comune e naturale e chi invece la considera un bene privato commerciabile. Questa è la storia della guerra dell’acqua di Cochabamba, in Bolivia, avvenuta fra il novembre 1999 e l’aprile 2000, raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona: Oscar Olivera, portavoce della Coordinadora de Defensa del agua y de la vida, Coordinatrice dell’acqua, una rete di movimenti cittadini protagonista della vittoriosa lotta contro la privatizzazione dell’acqua di Cochabamba.
Tutto inizia con le riforme neo-liberali dell’aggiustamento strutturale degli anni ’80. In Bolivia, come in molte altre parti del mondo, sotto la guida della Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, inizia un processo di privatizzazione delle risorse naturali e dei servizi, fino ad allora pubblici. La maggior parte dei contratti viene assegnato a grandi aziende transnazionali controllate da capitali stranieri.
Nel 1999 viene approvata la privatizzazione dell’acqua di Cochabamba, il consorzio vincitore dell’appalto è il consorzio Aguas del Tunari (dal nome di un fiume che scorre nella zona) formato principalmente dalle imprese transnazionali Edison (italiana), Abengoa (spagnola) e Bechtel (USA). Il contratto rendeva addirittura illegale raccogliere l’acqua piovana senza l’autorizzazione del consorzio.
I primi a mobilitarsi contro la privatizzazione sono gli indigeni migranti, che dalle zone rurali si erano trasferiti in città, e i comitati cittadini per l’acqua delle zone ancora non servite dall’ acquedotto. Per queste migliaia di persone la privatizzazione dell’acqua era un concetto alieno e in breve tempo, avevano sviluppato un loro sistema-acqua basato su abitudini contadine e pratiche indigene ancestrali profondamente radicate nella cultura e nella visione del cosmo. Per gli indigeni andini, principalmente quechua e aymara, l’acqua è un bene collettivo e l’uomo parte di un tutto che senza acqua non può funzionare.
Come dice Oscar Olivera: “La privatizzazione è un attentato verso una forma di convivenza sociale che si era creata attorno all’acqua”, un intervento inutile e dannoso in un settore gestito dalla gente e per la gente per introdurre un servizio non necessario controllato da un’azienda straniera. La lotta per l’acqua coinvolse tutti gli strati della popolazione sia urbana che rurale, le tariffe dell’acqua aumentarono a tal punto che in famiglia si doveva decidere se pagare l’acqua o mangiare: l’acqua incideva circa il 20% del bilancio familiare, contro le normative stesse dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che raccomandano di non superare la soglia del 2%.
La guerra dell’acqua rappresenta un momento di rottura molto forte. Rottura verso la politica di spoliazione del paese, rottura politica verso un modello antidemocratico nel quale pochi, ricchi e potenti, decidono il futuro senza interpellare la gente. La guerra dell’acqua è “una guerra per decidere il futuro dell’acqua come elemento fondamentale per la riproduzione della vita”, secondo la definizione di Oscar, il quale continua: “Come operaio calzaturiero, vedevo produrre 10,000 scarpe al giorno. Per il ciclo produttivo di ogni paio di scarpe si stima siano necessari circa 8,000 litri di acqua, dall’allevamento del bestiame al prodotto finito. Mentre fuori dalle mura della fabbrica la gente non aveva acqua per vivere, dentro, ce n’era abbastanza per vendere scarpe. Questo cambiò la mia vita, il mio modo di vedere le cose”.
A partire dal novembre 1999 Cochabamba vede una mobilitazione popolare in continua crescita, che culminerà nel febbraio 2000 con l’occupazione della piazza principale di Cochabamba. Vengono utilizzati strumenti di protesta non-violenti come bruciare le bollette dell’acqua, azione che però il governo giudicò criminale poiché prevedeva la distruzione di documenti ufficiali. Ma in quel momento, ci racconta Oscar: “La gente perse la paura e migliaia di persone bruciarono le proprie bollette in un unico falò nella piazza di Cochabamba”.
Il 26 marzo si tiene un referendum popolare autoconvocato e il 4 aprile la Coordinadora del agua lancia la mobilitazione finale della guerra dell’acqua: occupare la città. Fra il 4 a l’11 aprile la città piomba nel caos con i manifestanti a difendersi dalla polizia con pietre, pali, bombe artigianali al peperoncino e molotov. Il 7 aprile la polizia ha l’ordine di trovare e sparare ai leader della Cordinadora. Scattano perquisizioni nelle case degli attivisti e in casa di Oscar, in sua assenza, avviene addirittura una sparatoria che lascerà’ profondi segni nella vita della madre, la quale però lo incita a proseguire e non mollare. Il governo ricorre a tutto il possibile per fiaccare la protesta popolare e spegnere la rivolta: trasporta rinforzi da altre regioni del paese, dichiara lo stato di assedio, utilizza cani per aggredire i manifestanti, vengono schierati franchi tiratori in divisa ma anche in borghese, il governo taglia le linee telefoniche, la radio, la TV e l’elettricità scatenando una guerra psicologica per creare panico e sfiducia nella gente.
In queste giornate terribili la città si autogestisce: il governatore regionale si dimette, il sindaco scappa e alla fine, la polizia, persi i referenti politici, deve chiedere permesso alla gente per poter uscire in strada, e come dice Oscar: “Quando i potenti entrano in panico il popolo ha già vinto”.
La guerra è vinta, il popolo controlla la città per alcuni giorni, inclusi i mezzi di comunicazione, lo stesso Oscar Olivera ammette che la lotta che andò oltre gli obiettivi originali, i quali erano principalmente riportare l’acqua in mano pubblica e rivedere la legge nazionale sull’acqua. È la vittoria di un popolo senza leader che parla attraverso 5 portavoce revocabili in qualsiasi momento che a rotazione si assumono la responsabilità di parlare a nome del popolo in base alle deliberazioni dell’assemblea popolare convocata in stato permanente.
Come ogni guerra anche questa porterà con se conseguenze drammatiche: 30 feriti permanenti che persero occhi, alcuni l’uso delle gambe e altri riportarono danni permanenti, 5 morti, uno a Cochabamba, il diciassettenne Hugo Victor Daza, e 4 nella città di El Alto, vicino a La Paz in una manifestazione che reclamava gli stessi punti del movimento di Cochabamba e rischiava di infiammare la più grande città del paese. Trenta attivisti furono arrestati, picchiati e deportati nel nord del paese.
Oscar, 15 anni dopo, non nasconde una certa delusione nonostante la vittoria: “Il popolo ha mandato via le multinazionali, ha sconfitto la Bechtel. L’azienda dell’acqua venne remunicipalizzata ma la gente non voleva esattamente questo, la gente voleva continuare e decidere e gestire l’acqua. Non abbiamo potuto trasformare la compagnia municipalizzata di gestione dell’acqua in un ente autogestito dalla comunità di Cochabamba”. La Coordinadora con il tempo perde vigore e unità, molte componenti vengono cooptate dal governo di Evo Morales e questo movimento sociale autonomo si indebolisce. Quello che sta succedendo nella Bolivia del 2015 è una “privatizzazione dell’acqua partendo dallo Stato” come la descrive Oscar, che continua: “Lo Stato punta ad espropriare le gestione comunitaria dell’acqua e della vita e metterla sotto il suo controllo, quello che la Bechtel voleva fare nel 2000 ora Morales vuole farlo attraverso lo Stato. Lo scopo è distruggere il potere popolare dei comitati e delle cooperative che si incontrano e si parlano e trasformare tutti in utenti che pagano la bolletta dell’acqua in banca e basta”.
Guardandosi indietro però Oscar non può nascondere l’orgoglio per il lavoro della Coordinadora, una rete di movimenti articolata dal suo sindacato operaio che, superando le barriere del sindacalismo vecchio stampo, hanno creato un movimento potentissimo che difendesse i cittadini di Cochabamaba includendo e dando voce agli esclusi: bambini, bambine, giovani, disoccupati e anche prostitute. Per alcuni anni la Coordinadora assunse un ruolo nazionale perché “la parola Coordinadora per la gente significava forza, storia, legittimità mentre per i potenti significava sconfitta, terrore e panico e per questo veniva chiamata a risolvere problemi che lo Stato non aveva ascoltato e risolto accompagnando e ponendo il proprio peso morale a favore di cause inascoltate”.
Una rete sociale che credeva che il cambiamento potesse arrivare solo attraverso l’azione dei cittadini e non grazie alla guida dei leader. Sostiene Oscar che “il nemico principale della gente non è il capitalismo ma sono la paura di affrontare una situazione e il considerare il nemico invincibile. La paura si perde recuperando i valori che il capitalismo ci vuole imporre: l’individualismo, l’apatia, la rassegnazione ma per fortuna possiamo eliminarli attraverso un’azione collettiva. Per i potenti non esistiamo finché non ci muoviamo, non ci mobilitiamo, perciò per non rassegnarci, per non essere dei votanti obbligati e rassegnati l’unica soluzione è mobilitarci. Il potere di cambiare le cose non sta in alto e dentro alle istituzioni, ma il potere sta fuori e in basso, nelle mani e nel cuore della gente. La gente attraverso questa lotta si re-incontra, si riconosce, recupera la capacità di convivenza, della fiducia reciproca, questo fa perdere la paura, la paura viene quando ci si sente soli”.
Per ribadire il concetto Oscar cita un contadino boliviano che gli disse: “Le lotte della gente non possono essere lotte tristi, cupe, le lotte del popolo devono essere lotte allegre, creative, perché se tu stai lottando per un mondo dove c’è allegria anche la lotta deve essere allegra”. Per concludere il nostro incontro chiediamo ad Oscar Olivera che messaggio vuole condividere con altri popoli impegnati nella difesa dell’acqua come bene comune. “Quando un popolo di organizza, si unisce, si mobilizza, è un popolo che non sarà sconfitto. Questa unità, questa organizzazione, questa mobilitazione deve partire dalla partecipazione piena, da un processo di generosità e dal condividere esperienze di diversi settori, dal rispetto e dalla trasparenza per poter cambiare le condizioni di vita e di lavoro della gente”. Un messaggio di speranza da un uomo semplice ma straordinario e coerente che ha vissuto personalmente momenti difficili e grandi vittorie e che continua a sedersi ogni giorno a fianco di chi non ha voce per ascoltare e mettersi in cammino insieme, con allegria e credendo fortemente che “el pueblo, unido, jamas sera’ vencido” (il popolo, unito, non sarà mai sconfitto).
Link per approfondire:
Video su YouTube dal film The Corporation
Post su Repubblica
Stefano e Daniela