Amsterdam, dissolvenza d'Europa

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Avevo immaginato un finale diverso per la mia ultima giornata ad Amsterdam: un sole che splendeva indisturbato e non quella pioggia quasi invisibile ma costante, e nemmeno quell’aria insolitamente fredda per essere la prima domenica a ridosso dell’estate, aria che poi si manifestava in rivoli di fumo quando andava a sfregarsi sulle increspate acque più calde del fiume; immaginavo Onno che tornava per la cena e anche Victor che si univa, io che lo chiamavo e noi quattro che cenavamo per la prima e unica volta tutti quanti insieme, come vecchi amici, a parlare di viaggi, di Amsterdam, di arte e di progetti folli, e a quel punto io che convincevo Victor a rivelare la sua idea e tutti avremmo riso, e lui non avrebbe capito il perché e avrebbe iniziato a ridere anche lui con noi, fino a diventare serio di nuovo e intravedere nei suoi occhi la consapevolezza di avere avuto l’intuizione giusta. Sognavo insomma più linearità e non una giornata frammentata come quella, ad inseguire panchine umide sulle quali riposarsi. Probabilmente, l’essere finito per caso a ridosso della Dam Square mi aveva messo di cattivo umore. Quei vicoli sordidi, la puzza di erba, la musica dei negozi, i gruppi di italiani strafatti. Ad Amsterdam questo mi è sembrato troppo facile e riduttivo, mi  è parso che ci fossero cose più importanti da fare e che la mia visione non avesse bisogno di essere ampliata.

Grazie ai miei ospiti, ho conosciuto pezzi di città e tramite questi sono giunto a un’idea più grande, che affonda le sue radici nella storia. La storia per capire il futuro, come abbiamo concluso la conversazione io e Marc dopo la sua cena a base di salsicce e sformato di patate con formaggio e verdure, e dopo la mia bottiglia di vino di Mendoza. Abbiamo parlato di aerei, treni, di energie pulite, di decrescita, della loro barca e dell’autonomia che hanno di una sola settimana: “con un contenitore d’acqua che devi rifornire di tanto in tanto ti rendi conto di quanto consumi e capisci che le energie e le risorse che hai a disposizione non sono illimitate.” In questo, l’olandese mi è parsa la figura più gentile e sobria e oserei dire stoica cha io abbia mai incontrato in giro per l’Europa. Vedere intere famiglie su una bicicletta, con padri e madri che scarrozzavano i loro bambini, resistendo alle intemperie, mi ha fatto pensare che questa è un’ottima immagine per  descrivere la loro perseveranza nell’aderire a standard di efficienza ed economicità. La direzione che una società prende è determinata dalle scelte politiche, e la classe politica è lo specchio dei cittadini. Allora non sorprende che l’Olanda sia all’avanguardia (nonostante le parole che i miei ospiti hanno pronunciato a sfavore, evidentemente sottintendendo tutto ciò di cui andare fieri) nel campo della legislazione sociale, delle energie pulite, della finanza (qui nacque il primo stock Exchange) e degli scambi commerciali. Osservando questi bravi e diligenti cittadini mi è venuto da pensare che essi meritano di stare là dove sono, di essere arrivati là dove sono arrivati, hanno il diritto di ricevere così tanto dalla società perché loro sono i primi a non tirarsi indietro.

E poi con Marc abbiamo continuato, e parlato di Europa, dell’euro, della guerra e ancora dell’immigrazione, di Primo Levi e della sua chiave a stella, e qui io vado in coperta a fumare e ad osservare i vapori quasi fluorescenti del fiume, e poi vado a fare i piatti e poi vorrei dormire e forse anche tornare a casa già l’indomani e rivedere tutti gli amici che ho lasciato lì, e se devo essere grato ai viaggi per un motivo è perché spingendoti lontano ti fanno apprezzare sempre di più ciò che ti sei lasciato dietro. Ma poi viene Onno, stanco e distrutto, che si concede un bicchiere di vino e inizia a parlare come se io non stessi dormendo, mi dice che è provato fisicamente e che, sebbene non abbia mai fumato, in quel momento si sarebbe proprio fatto una canna. “In Olanda è paradossalmente proibito coltivare erba ma è possibile possederla. Tipico di noi olandesi: concedere da una parte e negare dall’altra.” Effettivamente ero sveglio e mi stavo lasciando travolgere dalle sue parole. In un impeto di franchezza, pensando di poter parlare liberamente con quello strano ospite che per due notti aveva dormito nella sua barca, aggiunge che deve molto a Marc e che, dopotutto, di paesi come quello dove dichiarare liberamente la propria omosessualità non ce n’erano molti, e in quel frangente mi ricordo della storica fotografia che immortala due uomini olandesi unitisi in matrimonio, per la prima volta in Europa, e mentre penso a quelle cose un’altra eterea ora passa prima che in riva all’Amstel non si sentono più le cantate di Zachow e le chiacchiere di una compagnia improvvisata. E’ notte fonda, mi alzo per abbracciarlo e per ringraziarlo. Mentre spengo la luce del lumetto mi affaccio per un’ultima volta da uno degli oblò e vedo i vapori del fiume che continuano a mulinellare nell’aria e penso che la dissolvenza sulla prima parte del mio viaggio era già cominciata.

Alessandro Vignale

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