Cara Fabbrica: la malattia di Gianpiero

foto4Gianpiero è il mio datore di lavoro; mi ha trovato al bar davanti alla stazione che mi sbronzavo di spritz – ero già al quinto bicchiere alle undici del mattino – e ha avuto pena di me. Gli ho raccontato la mia storia, la cassa integrazione prima, il licenziamento poi, la moglie che mi aveva lasciato e ha voluto che venissi qui a lavorare per lui. Questo è successo circa 8 anni fa: mi ricordo che era una mattina di un autunno ancora tepido e mi piaceva perdermi a guardare i piccioni in piazza mentre sbocconcellavano qualche pezzo di pane. Non sapevo proprio all’epoca dove andare a cercarmi un nuovo lavoro. E lui è capitato come la manna dal cielo. E’ per questo che mi ci sono affezionato, e lo vedo sempre volentieri tutte le volte in cui passa in portineria: mi dà le chiavi dell’auto per parcheggiargliela per bene davanti alla ditta e saluta tutti con un sorriso prima di entrare in ufficio. Un uomo socievole, affabile, gentile. Nulla da dire. E’ così e basta. Anche nella vita in famiglia: una moglie sempre cortese, due figlie grandi che studiano con ottimi risultati.

Eppure negli ultimi tempi, almeno dalle ferie estive parte di noi dipendenti lo trovava cambiato. Ce lo dicevamo alla mensa oppure a fine turno e non sapevamo farcene una ragione. Un po’ distratto, a volte restio ai saluti, addirittura scuro in volto e evidentemente preoccupato. E infatti mia cognata, che da qualche anno faceva le pulizie in casa sua, mi diceva che anche in famiglia non era più lui. L’avevano visto rientrare tardi, tutti avevano osservato che si assentava di frequente e la sua auto era stata notata spesso parcheggiata davanti all’ospedale, al poliambulatorio dove fanno pure la TAC e gli esami anche per chi è gravemente malato. E noi tutti eravamo molto preoccupati… Negli uffici dicevano di non saperne nulla, ma il viavai di gente nel suo studio ci faceva capire che c’era qualcosa di strano. Mi chiedevo se fosse malato; perché se lui stava male, la ditta ne avrebbe risentito, eccome! Del resto l’altro socio, suo fratello, è un perdigiorno, uno che non ha voglia di far nulla e Gianpiero lo tiene lì perché così ha lasciato detto, prima di andarsene, il vecio paron, il dottor Anselmo: ti raccomando Gianpiero, segui tuo fratello minore che è debole, che non ce la fa senza di te; lo sai che si sente perso se non ha uno che lo consiglia, te lo affido! E poi se ne era andato dolcemente chiudendo gli occhi, serenamente come fanno i nostri veci più saggi.

Che altro poteva essere? Ci chiedevamo in ditta…C’era qualcuno che sospettava che si fosse innamorato di quella bella foto3infermiera che faceva i prelievi e che la dava facilmente: una bionda avvenente, forse un po’ troppo formosa per i gusti del dottor Gianpiero, ma si sa che anche le persone distinte son fatte di carne; la carne è debole; e non c’è più la famiglia a tenere uniti; e le donne son tutte civette e si continuava con i luoghi comuni. In fabbrica da qualche giorno era tutto un bisbigliare, specie quando passava ed entrava in ufficio in tutta fretta.

Avevamo cominciato a capire che c’era qualcosa che non andava un giorno in cui c’era stata la riunione del settore produzione e marketing, almeno così mi era parso da chi ci entrava: c’era il dottor Zanchi del settore sviluppo, la dott.ssa Dominici del commerciale, l’ing. Santin della produzione e naturalmente suo fratello, il geometra Andrea. Erano entrati alle 15 e alle 19 dovevano ancora uscire dallo studio del dott. Gianpiero. Ci siamo chiesti tutti che problemi ci siano stati; li abbiamo visti venirsene fuori con una faccia lunga e persino la dott.ssa Dominici, che di solito era gentile e regalava un sorriso anche a me passando dalla portineria, procedeva con la testa bassa ed era evidentemente arrabbiata.

Una mattina poi era successa una cosa davvero strana che non era da lui: dopo essere arrivato come al solito alle otto, avermi dato le chiavi della macchina per parcheggiarla, dopo poco, nemmeno una mezzoretta, lo vedo uscire di nuovo di tutta fretta a passo spedito, salire in auto e partire a tutta velocità, sgommando. Diretto chissà dove, chissà da chi? Appena rientro in portineria, comincia a squillare il telefono ed era la sua segretaria che mi avvisava, agitatissima, di fermare il dottor Gianpiero. Le dico che è impossibile perché è letteralmente fuggito a tutta velocità. Dove? in che direzione? – mi incalza lei. Che ne so  – dico – è andato verso la piazza Maggiore… E mi butta giù il telefono senza dire altro.

Boh chi ne capiva qualcosa? Ci sarebbe stato da star svegli la notte a pensarci… e infatti  per qualche notte non ho dormito e rimuginavo che cosa potesse esser successo al nostro responsabile, complice poi le mie cene generose di pasta al sugo e di vino, avevo degli incubi e mi svegliavo tutto sudato e con la paura che il mio capo, il dottor Gianpiero fosse scomparso… Anche perché poi il pomeriggio a volte non rientrava rientrava più in ditta dopopranzo e neppure questo era da lui. Non poteva essere dai clienti perché lui non c’andava più da tanto tempo, mandava la dott.ssa Dominici del commerciale o altri del suo settore; e dai fornitori? men che meno, Venivano loro, oppure se ne occupavano quelli del settore sviluppo, il dott. Zanchi per primo.

Ma la cosa più strana doveva ancora capitare, nulla di grave se ne sto ancora a parlarne qui, mentre sono ancora al mio posto di lavoro in portineria; è che nel frattempo qualcosina è cambiato in ditta e qualche piccola trasformazione, sì bisogna dirlo, c’è stata. Non so se mettermi a sorridere senza dirvi nulla e finir qui il mio racconto oppure dirvi tutto quanto per filo e per segno. E sia, ecco qua la storia…

Una mattina, arriva una signora sulla cinquantina ben vestita, una mora alta e snella che faceva la sua bella figura col tailleur chiaro e i tacchi alti e mi chiede del dottor Marin, che è il cognome del dottor Gianpietro e le dico che al momento non c’è in ditta e che arriva entro una mezz’ora. Allora mi ribatte che lo aspetta e si siede in auto ad attenderlo in parcheggio, ma le si legge in faccia che è nervosa e arrabbiata, anzi davvero su di giri perché si accende una sigaretta dopo l’altra e dopo un quarto d’ora forse ne ha già fumate 7 o 8. Passata la mezz’ora mi si avvicina di nuovo e mi dice: ma non è ancora arrivato, il dottore? Ed io le rispondo di no, ma che sarà questione di minuti e che si accomodi su in ufficio, ma lei insiste col volersene stare in auto. Quando arriva il capo, lei scende all’improvviso, lascia aperto lo sportello e si avvicina con aria minacciosa: è davvero arrabbiata. Si vede da lontano che gli sta gridando qualcosa e dalla borsa estrae una busta bella spessa e gliela dà con violenza, ficcandogliela in tasca appena vede che il dottore la rifiuta.

Messi così i fatti si può dire che non se ne capisce quasi nulla: ci sta un uomo che cambia all’improvviso atteggiamento, in crisi col suo team di collaboratori e una donna che non si sa da dove spunti fuori. E una busta piena di soldi… Problemi di liquidità? normale. Un ricatto? Sarebbe peggio. Un cliente che non paga? Roba di ordinaria amministrazione. Oppure è capitato qualcosa in famiglia…

Beh ve la faccio breve; si è venuto a sapere che Andrea, il fratello del dottor Gianpiero, il tipo perdigiorno che arriva in ditta alle undici e ne è già fuori all’una, si è innamorato – pare – di una ragazza molto più giovane di lui, una liceale perfettina e studiosetta, la figlia di uno dei collaboratori, uno di quelli dell’area marketing. Lui l’ha messa incinta e, quando il dottor Gianpiero ha saputo della frittata combinata dal fratello, ha cercato di aiutarlo e gli ha dato un bel gruzzolo di soldi (quelli appunto ricomparsi nella busta) per cercare di aiutarli in qualche modo.

E la signora allora chi era? Era la madre della ragazza, la moglie del dottor “G” che era venuta a restituire i soldi e a dire che loro erano una famiglia di chiesa e credenti e che non avrebbero mai fatto abortire la figlia, che il geometra si doveva prendere le sue responsabilità  e che avrebbe come minimo dovuto riconoscere il bambino!

Sapete com’ è finita poi? Che il geometra Andrea, il giovane Menin ha sposato la ragazza, che lei ha partorito un bellissimo maschietto e vivono felici tutti e tre nell’appartamento dietro gli uffici in attesa di una soluzione migliore… Io, il giorno in cui è nato Alvise, così lo hanno chiamato, come il nonno paterno, ho appeso uno splendido fiocco azzurro davanti al cancello. Qualcuno mugugna e mi prende in giro…sarà,  ma io credo di aver fatto bene…

fiocco

Anche questa è vita di fabbrica, anche se non ci son né infortuni, né casse integrazioni (…salvo la mia di otto anni fa) né licenziamenti. Almeno una volta, una storia a lieto fine… in fondo anche la fabbrica è come la vita, una fitta trama di momenti brutti con un ordito di belle storie.

 Bruna Mozzi

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