Chi ha vinto in Spagna, appunti sparsi sul 20N

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Con questo post parte un nuovo blog Barcelona, Nordeste di Luigi Cojazzi

Come ampiamente previsto, il Partido Popular, senza programmi e con un leader tutt’altro che carismatico, ha trionfato alle elezioni spagnole, ottenendo la maggioranza assoluta (dei seggi).

Come mai? La ragione di questa vittoria si può riassumere in un dato: -4,3 milioni. Tanti sono i voti persi dal PSOE rispetto alle precedenti elezioni (-15,14%).

Il trionfo del PP è tutto in questo crollo abissale del PSOE. Rajoy rispetto al 2008 prende appena 500 mila voti in più. Ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, ma con mezzo milione di voti in meno rispetto a quelli con cui Zapatero aveva vinto alle elezioni precedenti (senza invece raggiungere la maggioranza assoluta). Dove sono andati allora i 4 milioni di voti spariti dal PSOE? In parte a partiti minori (Izquierda Unida e UPyD prendono complessivamente 1,5 milioni di voti in più rispetto al 2008), in parte all’aumento dell’astensione (il tasso di partecipazione scende dal 75% del 2008 al 71%), in parte alla crescita del voto bianco/nullo (0,9% in più rispetto alle elezioni precedenti).
César Molinas sul Pais parla di anomalia spagnola: in Spagna a decidere le elezioni non è uno spostamento degli elettori di centro (quelli che alternano un voto ai socialisti e uno ai popolari), ma la “sinistra volatile”: quegli elettori disposti a volte a votare il PSOE tappandosi il naso, e che in altri casi si spostano sull’astensione o partiti più a sinistra.

L’appuntamento in Plaça Catalunya è per domenica sera, alle 20.30. Mezz’ora dopo la chiusura dei seggi, c’è la cacerolada convocata dal movimento del 15M. Di gente, però, non ce n’è molta, forse un migliaio di persone nel momento di massima presenza: non certo le fiumane di manifestanti che tra maggio e giugno riempivano ogni sera la piazza.

A partire dal mattino dopo, sono in molti sui giornali e sui blog ad accusare gli indignados di aver “finito per far strada alla destra” (così Concita De Gregorio su Repubblica), spingendo la gente a non andare a votare.

Gli indignados in realtà non avevano promosso l’astensione: la campagna “No les votes” (http://wiki.nolesvotes.org/wiki/Portada) invitava a non votare i tre partiti principali (PP, PSOE e i nazionalisti catalani di CiU) e a informarsi sulle possibili alternative (tra i partiti minori o nel voto nullo/bianco).
Coerentemente con il lemma “democracia real ya”, la battaglia non era contro o a favore di un partito specifico, ma contro la corruzione della politica e il suo allontanamento dai cittadini, contro un sistema elettorale che favorisce i grandi partiti, non garantisce la rappresentazione delle minoranze, impedisce di esprimere preferenze ai candidati imponendo liste bloccate. Battaglie del genere non si vincono certo dall’oggi al domani e il loro impatto non si misura in una giornata elettorale.

Il concentramento in Plaça Catalunya si dissolve presto. Ci sono cose più importanti da fare, ricorda qualcuno dal microfono aperto agli interventi di tutti. Come andare a sostenere i ragazzi che da una settimana occupano vari edifici della città per dare un tetto alle tante famiglie sfrattate negli ultimi mesi.

* * *

In Spagna, almeno si è votato, si sente dire da queste parti, soprattutto tra la comunità italiana che non ha fatto in tempo a sentirsi liberata dall’incubo Berlusconi per vedersi imposto un primo ministro scelto dall’Europa delle banche.

Spagna, Grecia e Italia sono tre facce della stessa medaglia. 3 dei 4 Pigs, i paria dell’Unione europea, hanno visto il normale corso della legislatura anticipatamente interrotto dalla crisi finanziaria, dagli attacchi speculativi e dalle esigenze europee. Da tempo si denuncia lo scarto democratico che vive l’Europa, in mancanza di un’unione che sia realmente politica: i governi nazionali devono sottostare alle decisioni economiche di organismi non rappresentativi.

Cosa succede allora quando la sfera politica nazionale entra drammaticamente in contrasto con la sfera economica europea? La sorte dei PIGS in questo 2011 lo ha dimostrato chiaramente. È la politica nazionale a doversi piegare.

La Spagna, certo, per lo meno ha evitato l’umiliazione di vedersi imposto un governo tecnico – e di questo forse andrebbe riconosciuto il merito a Zapatero, che a differenza di altri leader si è fatto da parte al momento opportuno.

Ma gli elettori iberici non avevano d’altronde grande possibilità di scelta. Sarebbe stato curioso vedere come avrebbe reagito l’Europa se avesse vinto di nuovo il PSOE. La Spagna sarebbe stata commissariata?

Luigi Cojazzi

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