Filippine: alle radici del consenso del presidente Duterte

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Grazie al suo linguaggio a dir poco colorito il Presidente filippino Rodrigo Duterte riesce spesso ad attirare l’attenzione della stampa internazionale, soprattutto attraverso le sue dichiarazioni di guerra, prima contro i trafficanti di droga, poi contro i ribelli comunisti. Difficile non farsi l’idea di un Paese in cui non ci si fidi ad uscire di casa per paura di trovarsi nel mezzo di una sparatoria. Ma è davvero così? Duterte è un presidente popolare? E, soprattutto, su cosa base il suo consenso?

Per comprenderlo, abbiamo intervistato un docente di politica e diritto internazionale di un’università delle Filippine. Originario di Mindanao, isola che per anni ha visto guerre e spargimenti di sangue, è un docente che appare spesso in trasmissioni radio e TV e sostiene di poter esprimere liberamente il proprio pensiero anche quando in disaccordo con Duterte. La sua scelta di restare anonimo non deve quindi essere interpretata come il timore di esporsi pubblicamente, ma piuttosto con l’impossibilità di verificare la versione in italiano delle sue parole. Al di là di questo, per chi vive fuori dalle Filippine, è molto difficile essere d’accordo con tutto quanto dichiarato in questa intervista, ma ha il grande vantaggio di spiegare agli osservatori distratti su cosa si basi il vasto consenso che sostiene il presidente Duterte.

Partiamo dall’attualità. Com’è attualmente la vita a Mindanao? Le recenti dichiarazioni di guerra di Duterte a comunisti e trafficanti di droga hanno creato problemi?

Al momento, la vita a Mindanao è piuttosto diversa da quella di cinque anni fa. Per capirci credo occorra ripartire dal racconto di cosa fosse l’isola prima della presidenza Duterte. Per più di 100 anni il sistema politico delle Filippine è stato fortemente centralizzato, le leggi politiche ed economiche erano pensate, decise e attuate a Manila da un Presidente dai forti poteri. È cosi’ che le nostre costituzioni sono state scritte nel 1898, 1935, 1943, 1986 fino all’ultima nel 1987. Come in tutti i sistemi fortemente centralizzati, le periferie rimangono in fondo alla lista delle priorità nazionali, Gli ultimi 15 Presidenti, tutti provenienti da Manila, non si sono occupati molto di Mindanao. Di conseguenza, non sono mancate le rivolte in un’isola che include tre delle regioni più povere di tutte le Filippine e che, a causa della mancanza di sviluppo economico, i forti pregiudizi culturali e razziali nei confronti dei suoi residenti sonoo diventati il comportamento nazionale standard, con Manila che si ergeva a rappresentante di una cultura superiore.
Tutto questo è cambiato quando Duterte è diventato il primo Presidente delle Filippine proveniente da Mindanao. Oggi, dopo più di un secolo di disinteresse, circa il 65% del budget nazionale è investito qui, il 70% dei progetti di infrastrutture del paese è centrato su Mindanao e, cosa più importante, la ribellione si è fermata grazie all’autonomia concessa al gruppo secessionista musulmano che ora guida una delle regioni di Mindanao, la Bangsamoro Autonomous Region for Muslim Mindanao (Barmm) ed è di fatto partner del governo nazionale di Duterte. Parte del patto di cooperazione prevede la lotta contro il Maute e altri gruppi terroristici ispirati dall’Isis che prima che Duterte diventasse Presidente, operavano a Mindanao. In conclusione, direi che la vita oggi è piuttosto cambiata, in qualità di residente di Mindanao, la mia grande speranza è che la situazione attuale continui in futuro, ovvero che musulmani e cristiani vivano fianco a fianco, dando fine a secoli di guerre fratricide.

Qual è la sua opinione sulle recenti esternazioni del presidente Duterte riguardo alla lotta “senza pietà” contro i ribelli comunisti?

Quando Duterte è stato eletto nel 2016, ha inserito cinque leader comunisti a capo di diversi ministeri: quello delle riforme agrarie, del welfare e sviluppo sociale, del lavoro, dell’ambiente e delle risorse naturali e nella commissione anti-povertà . Queste cariche avevano lo scopo dare ai comunisti l’opportunità di attuare riforme socio-economiche e, grazie alla promessa di abbandonare le armi, porre fine a un secolo di insurrezioni. Nonostante ciò in due anni non solo sono mancate le riforme, ma il New People’s Army (ovvero il gruppo armato del National Democratic Front) ha aumentato il numero di sostenitori, reclutando studenti, bambini-soldato e intensificando gli attacchi contro le forze militari nazionali. Da notare che il NPA, insieme al CPP (Partito Comunista filippino) il cui presidente fondatore è in esilio nei Paesi Bassi, sono già considerati gruppi terroristi dal governo USA, dall’UE e da altri paesi occidentali.
Se invece di venire meno all’accordo preso il NDF e il CPP avessero seguito l’esempio del gruppo secessionista musulmano, ovvero, abbandonare le armi e chiedere l’autonomia o se in quei due anni avessero applicato vere e proprie riforme agrarie e terriere, probabilmente Duterte non li avrebbe rimossi dai loro incarichi e non avrebbe fatto alcune dichiarazioni di guerra.
La retorica politica usata da Duterte nell’articolare la sua politica contro il partito comunista filippino e i suoi gruppi armati, non è altro che la messa in atto dei suoi poteri in qualità di comandante delle forze armate, obbligato a proteggere e preservare un Paese repubblicano e democratico dall’essere attaccati da terroristi travestiti da un’aurea ideologica.

Ma la popolazione non paga gli effetti di queste costanti dichiarazioni di guerra?

Bisogna sottolineare che durante i 15 governi precedenti lo Stato di Diritto era inesistente: i trafficanti di droga erano infiltrati nel sistema politico e terrorizzavano intere comunità. Ci si chiedeva quando questo sarebbe finito e come mai, nonostante le Filippine fossero un Paese ricco di risorse – oltretutto gestite da persone istruite e capaci – fosse povero da più di un secolo, tant’è che lo si considera “il vecchio malato dell’Asia”.
La gente si è stancata di essere governata da politici di Manila finanziati da oligarchi e trafficanti di droga, stanca della mancata applicazione della legge, stanca di stragi soprattutto a Mindanao. Cosi’ ha optato per un governo col pugno di ferro. Io vivevo in una città dove la politica era controllata da veri signori della droga, sostenitori di diversi candidati politici sia a livello locale che nazionale. Per ben 50 anni hanno imposto il loro potere attraverso il traffico di droga, omicidi, rapine e corruzione. Numerose vite sono state distrutte a causa del traffico di droga, famiglie spezzate a causa del sistema giudiziario marcio che aveva assistito nell’affermazione politica di Governatori, membri del Congresso e Sindaci di Provincia. Due anni dopo le elezioni Duterte, ha fatto arrestare i membri di questa famiglia, mentre i capi del clan che si sono ribellati sono stati uccisi. Questo ha portato migliaia di criminali ad arrendersi e a scontare la pena riabilitativa obbligatoria all’interno della comunità . La maggioranza delle autorità locali della Regione ora gode del sigillo drug-free governativo. Non voglio nemmeno immaginare la situazione della mia città se Duterte non fosse al governo.

All’estero si pensa spesso che le dichiarazioni “senza filtro” di Presidenti come Trump, Orban o Bolsonaro non siano altro che un esibizionismo necessario per distrarre dai reali problemi economici del paese. E anche il caso di Duterte?

Sinceramente non credo ci sia una singola persona che non sappia che il nostro è un Paese povero. Nessuno può nascondere questa verità . Le Filippine sono sempre state una nazione povera dominata da pochi oligarchi spagnoli e da ‘baroni’ dello zucchero di Manila. Non siamo poveri a causa della popolazione o perchè ci mancano le risorse, siamo poveri perchè abbiamo avuto più di 100 anni di politica centralizzata gestita da padroni coloniali e dominata dalle elite politiche di Manila. Per più di 100 anni abbiamo pagato le tasse perchè il 90% di queste fosse investito a Manila e solo le briciole nelle Province come Mindanao. Questo ha provocato la ribellione armata, soprattutto a Mindanao.
Duterte non sta affatto nascondendo la situazione economica, al contrario, sta dicendo quello che si sapeva già da tempo, cioè che abbiamo un problema con un sistema di governo centralizzato. La popolazione si rende anche conto che per cambiare tutto ciò è inevitabile uno spargimento di sangue. Solo un leader che viene da Mindanao e che ha vissuto la ribellione, la povertà e l’abbandono del governo sulla sua pelle può capire tutto ciò. Questo non può essere compreso dalle persone al di fuori del Paese perchè non guardano il tutto attraverso la lente storico-politica necessaria a capire il contesto attuale.

La stampa filippina dichiara che la maggioranza della popolazione continua a sostenere la strategia del Presidente, è veramente cosi ?

Nonostante le dichiarazioni di guerra contro il trafficanti di droga e i ribelli comunisti, la vicinanza con la Cina e il linguaggio volgare usato, il Presidente continua a godere di un vastissimo consenso. Nel 2019 non un singolo candidato dell’opposizione ha ottenuto un seggio in Senato. è forse perchè la gente ama le sue esternazioni esagerate? No, ma il disgusto alla sua volgarità è superato dal fatto che solo Duterte è stato in grado di passare ai fatti. La sua prima battaglia è stata contro gli oligarchi e l’ha vinta. Il popolo filippino non ama la violenza, ma dopo aver subito per anni i soprusi dei signori della droga, a livello locale e nazionale, i cittadini hanno scelto un cambio di rotta. Nella campagna elettorale del 2016 Duterte dichiarò che se avesse vinto lui, il suo governo non avrebbe esitato a spargere sangue per vincere la guerra  contro gli oligarchi e i signori della droga. In troppi hanno visto amici e familiari rovinati dalla droga e hanno trovato la risposta in Duterte. Quindi no, la sua popolarità non va scemando, al contrario.

Ma in questo contesto, fino a che punto ci si sente liberi di esprimere la propria opinione?

Io godo di completa libertà sia nella vita privata che professionale: posso criticare Duterte tutte le volte che voglio. Ci sono sue politiche con cui sono in totale disaccordo e quando sono intervistato alla radio e alle tv locali – cosa che capita spesso – ho modo di esprimermi senza paura. All’università  insegno politica e diritto internazionale ovvero tutto ciò che riguarda il bene comune, il diritto, la giustizia, la verità , la libertà , l’amore, l’uguaglianza e la pace. Insegno la storia politica di Mindanao e le ragioni della povertà e delle ribellioni, come pure i vari sistemi politici. Voglio che i miei studenti si sentano al sicuro dalla droga, dal crimine e dal reclutamento di bambini-soldato. Queste sono le fondamenta dei problemi delle Filippine che spesso chi non studia il nostro Paese non sa o non vede.
Duterte non è un leader perfetto, ma è il risultato di sbagli della politica per più di un secolo. è un uomo che viene da Mindanao e come noi conosce i problemi dell’isola quali i pregiudizi razziali e la discriminazione. I suoi metodi non sono i migliori per ogni situazione, ma serviranno da lezione per le generazioni future, per chi crede che il male non si può sconfiggere, per i futuri leader che avranno capito cosa è necessario fare ed evitare.
Il nostro sistema giudiziario sta funzionando, molte leggi sono passate nonostante fossero contro alcune politiche di Duterte; il Congresso vede le opposizioni (che includono il vice presidente della Repubblica, giudici della Corte Suprema in pensione, ex Vice Presidenti, ex Presidenti, uomini d’affari e cosi’ via) di dibattere apertamente e criticare il leader di governo; le leggi sono scritte in base alla Costituzione. Per essere chiari, a mio avviso le Filippine sono e continuano ad essere una Repubblica democratica.

Aba Pifferi

Nella foto: il presidente filippino Duterte in un incontro con il presidente russo Putin

Ti potrebbe interessare