Così Assange ha unito tutto il Sudamerica

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Sulla vicenda Julian Assange, un punto emerge chiaro e subito, ovvero la reazione latinoamericana che tempo fa sarebbe stata impossibile da immaginare. La cosa che può stupire è che la regione in generale e il governo ecuadoriano in particolare, diano lezione di diritto internazionale a una potenza mondiale come la Gran Bretagna.

Questo è successo quando il Regno Unito ha minacciato, con pragmatismo e prepotenza più che diplomazia e rispetto, di entrare nell’ambasciata ecuadoregna per portar con sé l’australiano e consegnarlo alla Svezia. Davanti a questa eventualità, sono bastati solo 20 minuti di riunione domenica a Guayaquil perché i ministri degli esteri dell’Unasur (Unión de Naciones Sudamericanas) dichiarassero in modo chiaro e netto il loro sostegno all’azione dell’ecuadoregno Rafael Correa, in favore all’asilo politico di Assange. L’appoggio viene per “la minaccia di violazione dell’ambasciata”. Vale ricordare l’ottimo rapporto fra l’Ecuador col Venezuela di Hugo Chávez e la Bolivia di Evo Morales, che ha deciso di espellere la Coca Cola dal prossimo 21 dicembre e così come le 8 sedi di McDonald’s nel Paese. Tutti questi Paesi hanno un buon rapporto con l’Iran. Il caso Assange non fa altro che aumentare le distanze che esiste già fra alcuni Paesi dell’area e quella del Paese che nel 1823 proclamò la Dottrina Monroe.

Molte volte i governi agiscono sull’ambito esterno guardando più il fronte interno che non quello internazionale. La crisi diplomatica fra l’Ecuador e l’Inghilterra si fa difficile da capire se non si tiene in conto, ad esempio, che fra solo 6 mesi ci saranno le elezioni in Ecuador. Se l’attuale presidente Rafael Correa, dai difficili rapporti con la stampa, confermasse la sua candidatura come tutti prevedono, otterrebbe poco meno del 50 per cento dei voti: che sono più che sufficienti ad evitare il ballottaggio se otterrà una differenza superiore al 10 per cento rispetto al secondo candidato. Una vittoria diplomatica sul caso Assange, potrebbe dare a Correa un utile reddito politico, nonché confermerebbe il cambio di marcia nei rapporti internazionali  rispetto ai governi precedenti.

Prima, però, le urne si apriranno in Venezuela. Se non ci sono sorprese, il prossimo 7 ottobre i venezuelani confermeranno a Chávez al Palazzo Presidenziale di Miraflores, nonostante l’ondata di violenza che vive il paese (più di 19 mila omicidi nel 2011). Il forte carisma dell’ex paracadutista non si disperde facilmente.

In Argentina non ci sono elezioni in vista, ma la recente crisi diplomatica fra Buenos Aires e Londra per la disputa delle Falklands-Malvinas, era un elemento di grande peso in più per dare il sostegno a Quito. Niente di sorprendente.

La partita fra l’Ecuador e l’Inghilterra è ancora aperta, ma certo  la reazione latinoamericana è sintomatica del cambio dei tempi nei rapporti fra gli Stati Uniti e quello che una volta fu il suo “cortile di casa”.

Gustavo Claros

Guarda il documentario su Julian Assange

 

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