Alessandro Rossetto, l'«Effetto Domino» che conquista New York. «Racconto il cambiamento antropologico a Nordest»

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Prende il via il 29 maggio il Brooklyn Film Festival, concorso di cinema indipendente giunto alla sua settima edizione. Causa Covid 19, l’edizione 2020 del festival newyorchese si terrà in versione “virtuale” e chiunque volesse assistervi non deve fare altro che registrarsi a questa pagina che gli permetterà la visione degli oltre 140 film ospitati. Solo tre gli italiani, tra questi “Effetto Domino” del regista padovano Alessandro Rossetto. Un film che partiva da presupposti che il Covid influenzerà pesantemente: la crescita esponenziale della popolazione anziana nei paesi ricchi e l’intreccio tra il sistema bancario e il settore edile nel nordest italiano. Come si legge nella presentazione del film: «Entro il 2030, nei paesi ricchi, gli abitanti di più di 65 anni supereranno il 30% del totale della popolazione. Nel 2050, per la prima volta nella storia del genere umano, la popolazione anziana sarà più numerosa di quella giovane. In una cittadina termale che resiste al turismo di massa, un impresario edile e il suo sodale geometra, avviano un progetto ambizioso: convertire venti alberghi abbandonati in residenze di lusso per pensionati facoltosi. Il venire meno del sostegno finanziario di banche e investitori scatena un effetto domino nel destino dei protagonisti che sovverte per sempre la realtà».

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Abbiamo sentito il regista Alessandro Rossetto proprio alla vigilia della presentazione al Brooklyn Film Festival: «Sono contento di questa partecipazione non solo per la visibilità internazionale, ma anche perché permetterà la visione a molti italiani che non sono riusciti a vederlo nelle sale. Sarà presentato con i sottotitoli in inglese e potrà essere votato per il premio del pubblico dopo apposita registrazione».

“Effetto Domino” è tratto dall’omonimo romanzo di Bugaro, ma si concentra su aspetti sensibilmente diversi…

«Si la sceneggiatura è liberamente tratta dall’omonimo romanzo, il fatto che si racconti un mondo molto legato all’edilizia, l’attenzione agli anziani e l’importanza degli investitori orientali varia molto lo scenario e rende il film abbastanza differente dal libro».

foto Massimo Calabria Matarweh

L’effetto domino del film è scatenato da scelte precise del sistema bancario, decisioni che fanno crollare un castello di carte. Gli effetti del lockdown rischiano di essere ancora peggiori per il sistema economico del Nordest?

«E’ indubbio che caleranno gli investimenti ed è immaginabile che molti imprenditori avranno difficoltà con il sistema bancario. Il mondo descritto in Effetto domino è singolare, ma il sistema bancario già prima del diffondersi del Covid non era molto amico degli imprenditori, è presumibile che ora lo sarà ancor meno».

Il Veneto è uno dei territori più “narrati” d’Italia. Drammaturghi, scrittori e registi ormai da un ventennio evidenziano limiti e storture del cosiddetto “modello Nordest”, eppure sembra non cambiare nulla.

«Risposta difficile. Mi vien da dire che a metà degli anni Ottanta il Nordest è stato attraversato da un grande cambiamento, una modernizzazione repentina che ha fatto fare uno scatto in avanti assolutamente anomalo a una realtà contadina depressa. La conseguenza è stato un cambiamento antropologico con cui ancora oggi facciamo i conti. E’ molto difficile da cambiare»:

I protagonisti del film ripetono spesso: “Non pensare, fare”, “Tutti parlano nessuno fa”. Sembra un’ossessione…

«E’ un atteggiamento molto molto nordestino, una religione del lavoro che trovi anche in Trentino e in Alto Adige e che sembra diversa già in Lombardia. Viene da matrici contadine, è una necessità di essere continuamente al lavoro come se i cicli stagionali ti spingessero a non mollare mai».

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Tutto questo non ha impedito al Veneto di essere visto come un modello nella gestione della legata al Coronavirus. E’ figlia del lato positivo del “fare invece che parlare”?

«Credo vadano sottolineati due aspetti. Da una parte il governo regionale ha avuto la fortuna di incrociare il know how dell’Università di Padova, un bene inestimabile. Il secondo è più complesso e riguarda la medicina di base territoriale che si è rivelato il vero antidoto alla diffusione del virus. Non avendo fatto in tempo a distruggere la rete sanitaria territoriale veneta, il sistema ha potuto reagire bene. Prima dell’epidemia, in Veneto era in corso un tentativo di privatizzazione della sanità sul modello lombardo, ora, ovviamente, questo processo incontra una certa resistenza.  Mai dire mai, ma l’esperienza appena vissuta dovrebbe aver fatto ripensare i favorevoli alla privatizzazione della sanità regionale».

Il Covid ha bloccato qualche tuo progetto?

«Sì, nell’inverno scorso ho portato a teatro lo spettacolo Una banca popolare prodotto dallo Stabile del Veneto in collaborazione Jolefilm. Il testo è stato scritto da Romolo Bugaro e ancora prima di iniziare a provare, abbiamo sceneggiato il testo teatrale e in tempi brevissimi abbiamo girato il film. Lo stavamo ultimando quando siamo stati bloccati dalla pandemia e ora stiamo aspettando di conoscere le date per poter procedere al montaggio. Il film e lo spettacolo sono ispirati al crac della banca popolare di Vicenza e abbiamo deciso di produrlo senza metterci nella linea dei finanziamenti accontentandoci di un budget molto ridotto. Gli interpreti principali sono Mirko Artuso, Diego Ribon, Valerio Mazzucato, Sandra Toffolatti , Fabio Sartor e Davide Sportelli. Putroppo per motivi facilmente immaginabili non sappiamo ancora quando potrà uscire nelle sale».

Massimiliano Boschi

(foto, anche copertina, Massimo Calabria Matarweh)

 

 

 

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