Il Global Forum di Napoli: l'anteprima di Genova, dove nacque la parola "No global"

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Questo articolo fa parte dello speciale A Nordest di Genova sui 20 anni delle giornate del luglio 2001. A Nordest Di che mette a disposizione questo spazio per ricordi, emozioni, fotografie, testimonianze che potete inviare, in qualsiasi forma, alla mail redazione@anordestdiche.com

Sullo sfondo di un Vesuvio che erutta lava rossa, Pulcinella indossa una maschera antigas, si arrotola le maniche della camicia e corre con una mazza in mano: così l’iconografia battagliera scelta dalla Rete No Global Forum annunciava le “nuove quattro giornate di Napoli”. Dal 14 al 17 marzo 2001 il variegato movimento critico verso la globalizzazione contesta il Global Forum promosso dall’Ocse (l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), insieme alle Nazioni Unite, l’Unione Europea e la Banca Mondiale. La rete mette insieme «i centri sociali Officina 99 e Ska, i disoccupati organizzati, i Cobas, Rifondazione Comunista – ricostruisce la rivista Napoli Monitor –. La presenza dell’associazionismo è ridotta ai terzomondisti di Mani Tese e al raggruppamento di associazioni e cooperative denominato Cantieri Sociali».

Pulcinella No Global Forum

A Napoli in quei giorni nasce la parola “No global”, etichetta giornalistica rimasta per anni incollata a ogni manifestazione variamente antagonista. Lo ha ricordato Francesco Caruso, allora tra i portavoce della protesta e oggi docente di sociologia all’Università di Catanzaro, intervistato da Fanpage per il decennale: «Durante il Global Forum formammo una rete organizzativa, la “Rete No Global Forum” – ricorda Caruso – giornalisticamente per brevità fu definita “Rete No Global”, anche noi quando comprammo il dominio del sito web scegliemmo noglobal.org, da lì nasce il movimento No Global».

La prima «zona rossa» e le violenze

L’evento, in cui mille delegati internazionali sono chiamati a confrontarsi sui temi di internet, dell’e-government e del digital divide, si tiene nel centro storico della città partenopea: attorno a Palazzo Reale viene creata una «zona rossa» che comprende circa 10mila abitanti. Non è l’unico fatto ad anticipare il G8 di Genova che si tiene quattro mesi dopo: anche gli scontri di piazza – ricorrenti nelle manifestazioni che dal No WTO di Seattle del 1999 si svolgono in occasione di ogni vertice internazionale – sono particolarmente violenti. Prima le cariche e i pestaggi delle forze dell’ordine in piazza Municipio, poi quello che accade a chi veniva arrestato e portato alla caserma Raniero della polizia. Amnesty International scrisse all’allora ministro dell’Interno Enzo Bianco chiedendo l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente su quei fatti. In seguito alle denunce dei manifestanti, il tribunale di Napoli nel 2010 condannato in primo grado per sequestro di persona otto agenti e due funzionari di polizia, condanne poi cancellate per prescrizione nel 2013. Fatti che hanno fatto parlare di Napoli come una «prova generale» della piega tragica che avrebbero preso gli eventi nella città ligure.

Mediattivismo in salsa partenopea

Per ripercorrere gli eventi di Napoli – dal punto di vista dei manifestanti – è utile rivedere il documentario Zona rossa realizzato dal movimento napoletano in collaborazione con CandidaTV e Indymedia Italia. Anche in questo, si anticipava Genova: il movimento, forse anche perché il tema del vertice Ocse erano le reti di comunicazione digitale che si andavano affermando in quegli anni, fu molto attivo sul fronte di quelli che allora si chiamavano «nuovi media». Una giornata di mobilitazione fu dedicata a un netstrike, cioè la visita in massa e in contemporanea a un sito target – in quel caso, il portale di un operatore di trading online – con l’obiettivo di farlo andare in crash. Si tennero dei mail bombing – invii massivi di messaggi in posta elettronica – contro alcune agenzie di lavoro interinale. Fu creato un sito fake dell’evento promosso dall’Ocse, una copia quasi identica all’originale, ma i cui contenuti avevano subito un détorunement, come teorizzato dal movimento situazionista, mirato a rovesciarne il significato e a destabilizzare i lettori. All’Università si stabilisce un media center in cui giornalisti e attivisti possono lavorare e caricare news in tempo reale sul web, come già era accaduto a Seattle e come di nuovo succederà a Genova.

Foto:
Immagine di copertina, screenshot dal documentario “Zona rossa”
All’interno: logo della Rete No Global Forum, dal sito http://www.attac-italia.org

Ti potrebbe interessare

Visti da là
I 15 anni di Genova e la tortura che non c'è
La rete non fa la democrazia
La vignetta spezzata
La massoneria a Cuba