L'affaire 7 aprile nella ricostruzione di Roberto Colozza

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Se dovessi consigliare (e lo consiglio) di leggere il libro «L’affaire 7 aprile. Un caso giudiziario tra anni di piombo e terrorismo globale» di Roberto Colozza (Einaudi, 2023) consiglierei al lettore di saltare a pié pari l’introduzione. O leggerla alla fine. L’opera è infatti un utile strumento per la rilettura e la ricostruzione dell’inchiesta giudiziaria partita in quella fatidica data del 1979 a Padova che portò agli arresti molti esponenti dell’Autonomia Operaia (per l’accusa «organizzata») ed ex militanti di Potere Operaio, Toni Negri in testa. Il consiglio, mi rendo conto bizzarro, risiede nel fatto che l’introduzione rischia di far insorgere – o almeno a me è così successo – resistenze e pregiudizi.

L’autore appare infatti nell’introduzione e anche in parte del capitolo primo, molto deferente a un certo tipo di fonti istituzionali: lo stesso magistrato inquirente Pietro Calogero, che viene dipinto con i toni tipici del «servitore delle istituzioni», «integerrimo» etc, e molte fonti storiografiche di area ortodossa rispetto alla linea del Pci in quella vicenda. Questa sensazione sfuma con l’avanzare delle pagine e, rilette ex post, quelle note assumono tutta un’altra dimensione. Il complesso dell’opera, molto ricca, non sempre facile da seguire, presenta in modo equilibrato lo svolgersi dei fatti consentendo al lettore di farsi un’idea, modificarla corroborarla a seconda della propria posizione iniziale.

Il secondo fattore di pregiudizio personale sul testo, scusate l’inciso personale, era dovuto al fatto di essere stato catalogato, nella nota 1 all’introduzione (messo fuori dalla partita al primo minuto…), con la mia tesi di laurea «I giornali a processo: il caso 7 aprile» come esempio di storiografia ispirato alle ragioni degli imputati. Ora qui mi occorre doverosa, venti anni dopo (la tesi è del marzo 2002), una precisazione: quel lavoro, indubbiamente contrassegnato dallo sguardo ingenuo di un ventenne, privo forse di buona parte di contesto necessario a inquadrare i fatti, aveva limiti dovuti alla giovane età ma anche congeniti al taglio che avevo scelto di dare. L’intento era infatti quello di misurare la discrasia tra verità processuale e verità mediatica, dove lo sbilanciamento tra accuse rivolte e accertate ha avuto la sua massima divaricazione: d’altra parte il rapporto problematico tra il sistema dei media e le fonti giudiziarie sono uno dei grandi temi irrisolti del nostro Paese. Il secondo elemento che ha fuorviato la fruizione di quel testo fu la mia scelta di renderla disponibile in Creative Commons rifiutando invece la proposta (che reputavo di parte e interessata) di trasformarla in libro: se l’idea era quella di rendere pubblico uno strumento che reputavo oggettivo, l’effetto è stato quello di permettere che al testo originario venissero appiccicate introduzioni che in parte non condivido e che tentano di strumentalizzare il testo originario. Insomma, non sono più convinto che sia stata una buona scelta. Fine della parentesi personale.

Perché leggere quindi l’Affaire 7 aprile? Innanzitutto per quel temine – affaire – che oltre a richiamare l’affaire Dreyfus porta con sé la necessità di tenere insieme le diverse dimensioni dei fatti (limite che il mio lavoro aveva): non solo i fatti processuali in sé, ma anche il dibattito pubblico, le reazioni politiche, anche a livello internazionale, una ricostruzione attenta dei fatti e anche solo delle ipotesi ai fatti. Fino a sfociare prima in Francia per ricostruire anche il dibattito e i movimenti interni a difesa degli esuli italiani e poi negli anni Duemila con la contestualizzazione del dibattito securitario che ha riaccompagnato il ritorno in Italia di Negri e il dibattito abortito sulla necessità di trovare una forma di pacificazione al sovversivismo degli anni Settanta che qualcuno ha voluto scambiare o appiattire solo sul Terrorismo. E poi per la ricchezza di aneddoti, di note, per la minuzia con la quale vengono ricostruiti anche i destini dei singoli – Emilio Vesce, Luciano Ferrari Bravo e Guido Bianchini su tutti – che da quella inchiesta ricevettero innanzitutto ingiusti anni di detenzione. Non secondaria, per i padovani, la ricostruzione dell’evoluzione dialettica tra il Pci locale e nazionale man mano che l’inchiesta iniziale ridimensionava la propria portata.

In contrapposizione con l’introduzione si nota infine l’assenza di un capitolo conclusivo: forse un segno di rispetto per il lettore e le sue idee, forse la presa d’atto da parte dello storico della transitorietà del proprio lavoro. Sempre più – la stessa sensazione si ha leggendo Generazione Settanta di Miguel Gotor – si insinua nel lettore appassionato di storia della Repubblica il sospetto che sia ormai impossibile districare l’intreccio di mezze e false verità di cui è costellata la nostra storia recente. E tuttavia non smettiamo di cercare.

Luca Barbieri

Visto che Anordestdiche viene citato più volte tra le note, riassumiamo tutti gli articoli che sono stati dedicati al 7 aprile:

Nella foto di apertura: dettaglio della copertina de «L’affaire 7 aprile»

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