Senza biglietto in treno e i morti di Lampedusa

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Treno Verona-Milano, venerdì pomeriggio, prima classe. Il freccia rossa entra in stazione e i passeggeri si accodano per scendere. Il capotreno scorta 3 persone e con la radio chiama la Polfer: “Sono due polacchi ubriachi e un nigeriano senza biglietto“.

I tre sono tranquilli in coda, pronti all’abbraccio della Polfer. C’è un po’ di imbarazzo o forse infastidita indifferenza nella carrozza. Il capotreno guarda il medico che ha fatto il viaggio seduto accanto a me, allarga le braccia come a dire che non sa più cosa fare, ma che lui ha il pugno duro:

E dopo gli facciamo i funerali di Stato a questi!

 

 

Due polacchi, quindi comunitari, e un nigeriano che sembra il figlio di Bob Marley. Magari è giamaicano, penso io. Il triplo salto logico carpiato dai funerali per i migranti morti nel canale di Sicilia e tre persone senza biglietto sul FrecciaRossa meriterebbe un premio. Tre persone – due ubriachi e uno sfattone – salgono in prima classe senza biglietto tra Venezia e Milano e la colpa è dei profughi siriani ed eritrei che annegano davanti a Lampedusa. Faccio per dire qualcosa, ma mi mordo la lingua. E ovviamente faccio male. Questo post sono le tardive scuse per la mia ignavia intellettuale.

Il nigerian-giamaicano borbotta qualcosa perché non ha capito bene quel che ha detto il capotreno. “Io non ti ho insultato” dice…Il medico lo rintuzza:

Attento sai, stai parlando con un pubblico ufficiale. Un capotreno nell’esercizio delle sue funzioni è pubblico ufficiale. C’è scritto anche all’entrata della stazione

Vorrei proporlo come premio Nobel alla mediazione culturale e mi perdo a pensare all’immaginifica funzione di pubblico ufficiale e a quello che può significare per un migrante straniero con problemi un po’ più seri del giamaicano. Le porte si aprono. I tre senza biglietto scendono remissivi senza accennare resistenza verso una pattuglia di sei agenti della Polfer.

La stazione di Milano – da qualche settimana – è diventata il rifugio di centinaia di profughi siriani che cercano di andare a nord. Li vedete lungo i binari, e nelle sale d’aspetto. Famiglie con bambini, giovani segnati dalla stanchezza. Sono sorvegliati dalla polizia e da qualche volenteroso milanese che prova ad aiutarli.

Non vogliono fermarsi qui. Non ci pensano nemmeno. Non è un problema di razzismo o di accoglienza. E’ l’analisi logica, quella che difetta al capotreno, che a pelle gli fa capire che un Paese senza ratio e senza cuore non ha futuro.

Buon lunedì, AND

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