I luoghi dell'abbandono di Elisabeth Hölzl

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Elisabeth Hölzl è un’equilibrista. Con eleganza, Hölzl si muove sul filo dell’evanescenza e delle traccie, anche le più impercettibili, che il tempo e le storie depositano sui luoghi. Nata a Merano e diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna, Hölzl è nota in Italia e all’estero per i suoi lavori -installazioni e soprattutto fotografie, in cui la natura e i luoghi giocano un ruolo fondamentale. Tra le serie fotografiche più celebri, ricordiamo quella sullo smantellamento dell’Hotel Bristol a Merano, quella dell’Hotel Paradiso in Val Martello, sull’Italsider di Cornigliano, Genova, o sugli spazi dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli.
La ricerca di Hölzl prende le mosse dalla curiosità per i luoghi dimenticati, ma portatori di storie e significati. Qui il suo sguardo si ferma a lungo. La sua esplorazione calma, profonda, riesce a cogliere ciò che sfugge all’occhio della maggioranza delle persone, quella dimensione invisibile che avvolge i luoghi in abbandono. Il risultato sono immagini pure e sofisticate, in cui spesso si riesce a vedere il silenzio.

L’Hotel Paradiso in Val Martello

La spinta all’esplorazione per luoghi particolari, ha portato l’artista a Venezia, dove ha realizzato una nuova serie fotografica sulle tombe del Cimitero di San Michele in Isola. Il cimitero, che è stato ampliato da un intervento dell’archistar David Chipperfield, è considerato un vero e proprio museo a cielo aperto: ospita infatti le tombe di scrittori, artisti e personaggi illustri – come Ezra Pound, Igor Stravinskij, Luigi Nono, Emilio Vedova, e moltissimi altri e altre. L’attenzione di Hölzl si è concentrata però su antiche tombe di famiglia meno in vista, meno note, in cui il tempo ha usurato nomi e quindi identità e legami. Ne abbiamo parlato con lei, partendo dal suo interesse per i luoghi.

Tra i luoghi che lei sceglie di fotografare, studiare e “sentire” ce ne sono diversi che racchiudono una dimensione di vicende umane e trasformazioni sociali – quanto conta e come influisce questa dimensione sociale e storica nel suo lavoro?
Mi interessano quelle situazioni nascoste o poco chiare, che sono o sono state, sia nel passato che nel presente, ai margini dell’interesse pubblico. Occuparmi visivamente di queste situazioni significa fare, in primis, un’indagine personale per capire e mettere luce determinati argomenti e storie. La sintesi di questo processo è sempre e comunque l’immagine, che con la sua forza espressiva ha delle caratteristiche tutte sue per raccontare ed esprimere.

Come nasce la ricerca a Venezia dell’estate passata?
Dopo la prima chiusura, nel 2020, sentivo il bisogno uscire in un luogo aperto, ma anche denso di storia e di vivere la dimensione del vuoto in un posto solitamente affollato come Venezia. Da tempo volevo approfondire anche le isole e così ho scoperto, tra le altre cose, anche l’isola di Pellestrina, luogo magico ed estremo.

Riguardo alla serie sul cimitero di San Michele in Isola: perché proprio quelle lapidi anonime hanno attirato l’attenzione, all’interno di un cimitero in cui sono sepolte anche personalità celebri?
Il cimitero di San Michele è particolare, certe aree sono in pieno abbandono, lasciate a sé stesse, così da acquistare una loro vita “nuova”. Incamminandomi sono capitata nell’area delle tombe di famiglia – credo un tempo importanti. Le lapidi a terra portano i segni del tempo, in alcuni punti in cui c’è maggiore passaggio le lettere con i nomi dei defunti si sono consumate, fino a formare solo tracce sotto forma di puntini. E’ venuta così a formarsi una tipografia poco leggibile o illeggibile, che sviluppa una forza nuova, proprio per l’assenza della visibilità.

Nel suo lavoro lei fa riferimento al “fading”, che Roland Barthes descrive nei suoi “Frammenti di un discorso amoroso” come “prova dolorosa con la quale l’essere amato sembra sottrarsi a qualsiasi contatto” e lo paragona al ritirarsi come “vivente evanescente” nella regione delle Ombre, dell’Ade, descritta da Omero nell’Odissea. Qual è il fascino di questo “svanire”?
Nel caso specifico delle tombe di San Michele, lo svanire dell’oggetto amoroso, della o del defunto vorrebbe essere fissato con un ricordo sotto forma di sepoltura, come una lapide. Nelle tombe che ho fotografato, i particolari delle incisioni scomparse sono in uno stato di continuo svanire. Uno svanire impercettibile, che si nota solamente perché sono trascorsi oltre cento anni. I segni del tempo, hanno eroso la pietra e reso illeggibili i nomi, ma anche formato una nuova immagine, che ho fermato nei miei lavori.

Caterina Longo

 

Immagine di apertura dalla serie fotografica su S. Michele in Isola a Venezia, foto courtesy of the artist

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