Marco Mostallino, un'anima nel Mediterraneo

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Caro Marco, amico mio e amico di tanti amici miei che ben più di me hanno goduto della tua compagnia. Avevamo un piccolo gioco, un piccolo scherzo, tra noi: ti chiamavo Shardana, sempre, per prendere in giro il tuo amore, sconfinato fino al mito, per la tua terra, la Sardegna. Mi avevi parlato di un’ipotesi, una delle tante: la tua Sardegna poteva essere l’Atlantide sommersa, e i tuoi antenati, una genìa eccezionale. Di sicuro tu lo eri.

É passata una settimana dal tuo funerale. Sei stato addormentato da un infarto. Solo un atto improvviso, cogliendoti alle spalle, avrebbe potuto sottrarti al tuo sacro impegno di godere della vita fino all’ultimo e far di tutto per farla godere a chi, forse, non ha mai potuto goderla. Ho provato a riaprire Messenger – questa sera, scrivendo di nascosto da me stesso questo breve post – ma con il tuo profilo anche le nostre conversazioni sono state cancellate. In aereo, rileggendole al rientro da Cagliari domenica scorsa, mi sono sorpreso a riscoprire che nel settembre 2011 avevi scelto A Nord Est di Che per riprendere a scrivere dopo una pausa di un anno. E’ stato per noi un onore, volevo dirtelo ancora una volta e ringraziarti.

Avevi inaugurato un blog, Mediterranima, una fusione esplicita della tua anima con il Mediterrraneo, del Mediterraneo con le nostre storie: ci hai regalato la storia di Boubaker, il poliziotto che sognava di migrare, un approfondimento sulla crisi in Libia che sarebbe sfociata in una drammatica guerra, e poi in rapida successione un’inchiesta sui migranti invisibili dal Sahara al Nord Africa, un pezzo sulla partita Egitto-Algeria, un articolo sull’accoglienza gestita dalla Protezione Civile. Poi, un anno dopo, nel 2012, ancora un pezzo sull’Alcoa. L’Alcoa come fosse l’Ilva, i migranti di 7 anni fa come quelli di 20, come quelli di oggi. Passasti poi a scrivere per Lettera 43 e ancor più al tuo lavoro di ricerca fotografica, all’impegno con la Caritas: il Mostallino giornalista d’inchiesta che si rimbocca le maniche aiutando i suoi fratelli che solcano il Mediterraneo. Con quel fisico tuo, ponte esplicito tra Nord e Sud. Quegli occhi così proiettati al di fuori dalle orbite, forse per osservare meglio, forse per entrare più nel profondo della realtà. Potevi viaggiare ovunque e ovunque sentirti a casa. Chiunque poteva esser certo di avere in te un fratello, perché tu, in qualsiasi uomo, vedevi un tuo simile. Avevi in amore la vita e le donne, avevi in odio l’ingiustizia. E il fascismo e il razzismo.
In fin dei conti basta poco per intendersi, e capire da che parte si sta.

Sei stato sepolto in un cimitero costellato di lapidi dedicate a sconosciuti. Sconosciuti ripescati senza vita. Sono i volti, le storie alle quali hai sempre voluto dar voce. Eri un gran provocatore, uno che agli schemi rifuggiva. Per un breve periodo (troppo breve) hai incrociato la tua strada con la nostra. Abbiamo fatto un bagno al Poetto nel pomeriggio. Sono io a scrivere, che di sicuro sono quello meno indicato, oggi, solo perché Silvia, Domenico, Denise, per ora sono riusciti a scrivere solo a brandelli. Ti ricorderemo così, ringraziando dell’amicizia di Lucio e di quella, nuova e improvvisa, di Nathalie. Degli spunti che ci ricordano ogni giorno cos’è, in fondo, il nostro mestiere di giornalista. Ciao Marco, buon viaggio.

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Cimitero di Cagliari, foto di Silvia Fabbi

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