Messner: "Giustizia per gli sherpa dell'Everest"

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

“L’incidente che sull’Everest ha provocato la morte di sedici sherpa ha delle precise responsabilità, cioè quelle degli organizzatori di spedizioni turistiche. Non va dimenticato che gli sherpa stavano lavorando per consentire proprio a questi “turisti d’alta quota” di raggiungere in modo sicuro la vetta”. Reinhold Messner traccia una distinzione netta fra alpinismo tradizionale, dove lo scalatore è l’unico responsabile per se stesso, e scalata indoor o turismo d’alta quota, dove quando accade un incidente spesso è possibile addebitarne la responsabilità a precise inadempienze di chi predispone e organizza l’attività.

 

Il re degli Ottomila ha chiesto giustizia per gli sherpa e le loro famiglie nell’ambito del forum “Quo climbis?”, organizzato domenica 4 maggio a Castel Firmiano nel più celebre e visitato Messner Mountain Museum delle Alpi. Al dibattito lo scalatore della val di Funes ha riunito il gotha dell’alpinismo mondiale di ieri e di oggi per confrontarsi sul futuro dell’arrampicata e dell’alpinismo. Che cosa si intende con queste due parole, com’è cambiato il loro significato dalla loro nascita e quale domani ci attende?

A fornire la risposta più chiara ed efficace è stato il polacco Krzysztof Wielicki, noto per aver salito per primo in invernale tre dei quattordici Ottomila. Il sorridente 64enne ha abbracciato Angelika Rainer e Marina Kopteva dicendo: “Il futuro dell’alpinismo? Eccolo qua”.

Sta tutta qui, in fondo, la riposta alla domanda che dava il titolo alla conferenza, una traduzione moderna del topos letterario del quo vadis applicato alla montagna e all’alpinismo. Con Messner e Wielicki nell’ambito dell’incontro “The Climbs they are a-changin” ha dialogato anche Marianne Chapuisat: per la scalatrice francese la responsabilità non va mai ricercata mai all’esterno dell’alpinista bensì sempre e solo in lui stesso, nella sua preparazione e nelle sue azioni.

Non molto diverso l’approccio del giovane Alex Honnold – il più famoso climber di free solo nel panorama internazionale – i pilastri guida dei singoli devono essere sempre “l’onestà con se stessi e il rispetto per la natura che si va ad esplorare”. “Per sapere dove va l’alpinismo bisogna chiedersi dove va il mondo” sintetizza Emilio Previtali, il giornalista che ha accompagnato Simone Moro sul Nanga Parbat e ne ha raccontato l’impresa. Quelle che Wielicki presenta come le due incarnazioni femminili del futuro dell’alpinismo hanno però un approccio completamente diverso fra loro alla montagna.

Nel caso della ucraina Marina Kopteva significa aprire nuove vie in condizioni estreme, come quelle che insieme a due compagne le hanno consentito di concludere Parallel World (VI+ e Artif. 2580m), sulla parete Nord Ovest della Great Trango Tower (6286m) nella catena del Karakorum in Pakistan. Nel caso di Angelika Rainer vuol dire invece arrivare tre volte sul gradino più alto del podio dei mondiali di arrampicata. “In montagna si entra in un mondo arcaico con regole anarchiche” spiega Messner, fornendo così una chiosa necessaria a fornire a ciascuno, alpinista professionista o semplice amatore, la spinta e la cornice necessaria a lanciarsi alla scoperta della montagna e di quella che Messner ama chiamare wilderness.

“Nessuno può criticare ciò che fa qualcun altro, dire che è sbagliato o folle. Non ci sono regole per andare in montagna. Il fatto è che più l’alpinismo diventa una questione di cifre, di primati e di livelli e meno si parla di vero alpinismo” riassume il re degli Ottomila. Eppure la stessa biografia di Messner e la presenza fra gli altri anche di Miss Oh Eun-Sun, la prima donna che ha scalato tutti e quattordici gli Ottomila, spiegano al meglio come “il vero valore dell’impresa alpinistica è quello di arrivare primi. Nessuno di noi affronta i rischi, le privazioni, le difficoltà che la scalata estrema comporta, senza avere in testa l’obiettivo di essere in qualche modo il primo a ideare e a compiere un’impresa”. Questa la visione di Daniele Nardi, che insieme a Simone Moro e Christian Trommsdorff completava il panel dei relatori.

Silvia Fabbi

Ti potrebbe interessare