Nasce l'Arabish

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arabishE’ una lettera diplomatica in arabo mandata dall’emiro di Bona e Bugia, nell’attuale Algeria, a Giovanni dell’Agnello, signore di Pisa e di Lucca, l’unico documento finora noto in cui un volgare italiano è scritto in caratteri arabi.

E ai giorni nostri? La comunicazione mediata dal computer, in tutte le sue forme (e-mail, chat, sms, post all’interno di social network, ecc.), ha favorito l’adozione dell’alfabeto latino, universalmente presente sulle tastiere di computer e telefonini, anche per lingue con altri sistemi di scrittura. Nei paesi arabi, ad esempio, si è diffuso un sistema di traslitterazione dell’arabo che sfrutta, oltre alle lettere latine, anche alcuni numeri per i suoni sconosciuti alle lingue occidentali. Questo sistema, che può generare dei veri e propri mostri (come leggere 3a2la e 7a9?!), è popolarissimo in tutto il mondo arabo, dal Golfo al Marocco, e viene spesso indicato con il nome di Arabish, un ibrido di Arabic (nella lingua) e English (nell’alfabeto).

Sono questi alcuni dei temi e delle curiosità di cui si parlerà nel convegno “Contatti di lingue – Contatti di scritture. Plurilinguismo e plurigrafismo dall’Antichità all’Età moderna”, organizzato dall’Università Ca’Foscari Venezia (Dipartimento di Studi Umanistici) per il 29 e 30 gennaio (Aula Baratto).

Il rapporto fra lingua, scrittura e identità è un nodo essenziale per comprendere le ragioni della diffusione di sistemi grafici poco adatti alla notazione di lingue diverse da quelle per le quali sono stati concepiti in origine (come gli alfabeti semitici e i logogrammi cinesi), la cui fortuna è pertanto da ricercarsi nel prestigio sociale e nel valore identitario di cui queste scritture si sono fatte portatrici.

Spiega Daniele Baglioni, ricercatore dell’ateneo veneziano che con la dottoressa Olga Tribulato ha curato l’organizzazione del convegno:

Tutti noi siamo abituati a pensare che ciascuna lingua sia legata in maniera necessaria e indissolubile a un unico sistema di scrittura: l’italiano all’alfabeto latino, il greco all’alfabeto greco, l’arabo all’alfabeto arabo, il cinese ai logogrammi cinesi, e via dicendo. Questa convinzione è talmente diffusa che i sistemi di scrittura vengono a volte identificati con le lingue stesse, come quando si sente dire – e capita persino di leggere nei giornali – che “in Russia si parla cirillico”, quasi che il cirillico fosse una lingua e non un alfabeto. In realtà, non per tutte le lingue del mondo c’è un rapporto di corrispondenza biunivoca con un solo sistema grafico. Ad esempio, molte lingue parlate in territori un tempo parte dell’Unione Sovietica si scrivono – o si sono scritte fino a pochi anni fa – tanto in alfabeto cirillico quanto in alfabeto latino o in alfabeto arabo (o addirittura in tutti e tre gli alfabeti!). Questa situazione era frequentissima nei secoli passati.

Le dinamiche del contatto fra lingue e scritture verranno ripercorse in ordine cronologico a partire dal Vicino Oriente Antico, per poi passare alla Sicilia greca e all’Etruria e alla Cisalpina romane. Al greco e alle diverse rese grafiche di questa lingua nel corso della sua storia plurimillenaria sarà dedicata la comunicazione del relatore ospite, il Prof. Emanuele Banfi dell’Università di Milano – Bicocca, Presidente della Società di Linguistica Italiana. Ci si trasferirà quindi in Estremo Oriente, dove si seguirà l’affermazione dei logogrammi prima in Cina e poi in Giappone, e si osserverà il contatto fra lingue e scritture nel subcontinente indiano. Quindi si tornerà nel bacino del Mediterraneo, sulle tracce delle cosiddette “giudeo-lingue”, cioè delle numerose lingue (dall’aramaico all’arabo e all’italiano) scritte dagli ebrei della diaspora in caratteri ebraici, e ci si muoverà infine tra il Maghreb tardo-medievale, l’Asia minore e i Balcani ottomani parlando di italiano, di turco e di bosniaco.

Italoromanzo in caratteri arabi in un diploma magrebino del Trecento: si tratta dell’unico documento noto in cui un volgare italiano è scritto in caratteri arabi. Questa strana pratica, che era molto comune nella Spagna medievale (dove sono numerosi i testi “aljamiados”, cioè i testi in cui il volgare romanzo locale è scritto in caratteri arabi), non è invece generalmente attestata in Italia dove, anche nelle regioni in cui l’influenza araba è stata più forte (come la Sicilia), non si trova che qualche nome proprio di luogo o di persona trascritto in caratteri arabi all’interno di documenti in arabo. Il diploma in questione è dunque da considerarsi un caso eccezionale che, malgrado il suo indubbio interesse, non è stato più studiato dopo la prima edizione del testo nella seconda metà dell’Ottocento.

In particolare, si tratta della traduzione in volgare di una lettera diplomatica in arabo mandata dall’emiro di Bona e Bugia, nell’attuale Algeria, a Giovanni dell’Agnello, signore di Pisa e di Lucca. Resta un enigma il perché per tale traduzione si sia ricorsi all’alfabeto arabo, dato che tanto in Algeria quanto a Pisa dovevano essere pochissime le persone in grado di leggere i caratteri arabi e allo stesso tempo di capire il volgare italiano. La cosa più probabile è che la traduzione fosse una sorta di appunto personale del traduttore, che è anonimo ma che ovviamente conosceva l’arabo e il suo sistema di scrittura (mentre probabilmente ignorava l’alfabeto latino, pur sapendo parlare il volgare), il quale avrebbe letto ad alta voce il contenuto della lettera al destinatario.

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