No man's land #1: Mosul-Vienna. Andata e ritorno?

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È un giorno difficile, ripeteva Raad. Oggi ha ricevuto il secondo respingimento alla richiesta di asilo politico. Nonostante tutto deve rimanere tranquillo e lucido perché i prossimi passi da fare sono decisivi. Il ricorso e tutta la trafila burocratica con un nuovo avvocato e soldi, soldi a non finire. Da quando nel 2015 è arrivato in Austria dall’Iraq non può lavorare, l’unica cosa che gli è concessa di fare è frequentare un corso di tedesco e aspettare. La maggior parte dei miei studenti iracheni riceve dopo cinque o sei anni di attesa il respingimento della richiesta di asilo. Alcuni di loro vogliono raggiungere la famiglia in un altro paese, ma le leggi di asilo non lo permettono. In Austria devono firmare un documento in cui dichiarano di non lasciare la città di residenza per più di tre giorni. Così i fratelli, genitori e figli, le famiglie seppur in Europa non possono incontrarsi, gli uni non possono assistere ai compleanni, alle nascite e alle morti degli altri, tutto questo in un’Europa unita.

Siamo andati a prendere qualcosa da bere dopo il corso di tedesco. Mi raccontava che al terzo respingimento si perdono tutti i diritti, alcuni ne ricevono addirittura cinque. È un sistema complesso in cui l’Austria non può eseguire rimpatri forzati verso l‘Iraq, ma non vuole nemmeno queste persone sul proprio territorio. Molto spesso i ragazzi rimangono ma per il sistema non esistono più. Vivono in condizioni molto precarie, senza l’assicurazione sanitaria, non hanno il diritto di affittare una casa, trovare un lavoro, ricostruirsi nulla di proprio. Vivono in camere affollate prestandosi soldi per un po’ di cibo, che promettono di restituire, quando tutti sanno che non sarà così. Con gli amici che incontrano nei vari progetti di volontariato non si lamentano tanto, dicono solo che la vita è un po’ dura. Tutto questo succede in una città che resta salda sul gradino più alto del podio della classifica annuale di città più vivibile al mondo. Vienna.

Brunnenmarkt – Vienna

Raad era sconvolto e quel giorno seduti al bar non parlava molto. Ha solo detto “oggi devo bere“, è un giorno difficile. Era calmo e pensieroso. Già il giorno prima aveva ricevuto una lettera, ma era un falso allarme. Era soltanto il rimborso del biglietto del treno per andare al tribunale, quello stesso tribunale che aveva deciso di non farlo rimanere in Austria. Lì seduti al bar osservava i piccioni. Pensava di venire in Europa per poter essere al sicuro, non dover vedere cadaveri sparsi a terra e aver paura che la polizia senza alcuna ragione lo picchi per strada. A Mosul, ex roccaforte dell‘ISIS, aveva perso tutto, lì vita non ce n‘era più. Arrivato in Europa lo avevano accusato di essere un terrorista, inviandogli una squadra speciale nel cuore della notte facendo irruzione in casa e puntandogli una pistola in testa, hanno sequestrato tutto per poterlo tenere sotto occhio. Poi però anche questo era soltanto un falso allarme. Mai una lettera di chiarimento, in cambio l’archiviazione del caso. Per lo stato austriaco era finita lì per Raad invece la paura dentro le ossa è rimasta.
E adesso un altro shock, quello del secondo respingimento. Non aveva abbastanza prove per convincere i giudici di quello che aveva vissuto a Mosul. Solo il nome della città fa rabbrividire non pochi ma per i burocrati delle politiche di asilo è una città tutto sommato vivibile. Secondo le statistiche internazionali l’Iraq è sulla lista dei paesi molto poco sicuri e nessuna assicurazione internazionale garantisce per un viaggio da quelle parti.

Raad evita di parlare di politica, a lui in quel pomeriggio seduti al bar mancavano i piccioni della sua città, la sua famiglia che non vede da molti anni, alcuni di loro già morti. Gli mancano i colori, ha paura e continua a ripetere che ritornare non può. Non trovo parole per alleviare la sua sofferenza, non ho risposte alle sue incertezza e così anch’io per sfuggire a questo momento intenso mi rifugio nel ricordo dei piccioni di Sarajevo, un ricordo sereno che mi ha accompagnato durante i primi anni dell‘infanzia.

Azra Fetahovic

 

Azra Fetahovic, nata in Montenegro e vissuta a Sarajevo fino al 1992. Si trasferisce in Alto Adige/ Südtirol dove per alcuni anni lavora come insegnante di tedesco nella scuola media.
Dal 2017 vive e lavora a Vienna come insegnante di lingua per richiedenti asilo politico e accompagna adolescenti alla conclusione dell’istruzione obbligatoria.

 

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