Non tutto è perso

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Come dicevo nel post precedente, mi è successo di ritrovare atteggiamenti, sentimenti e comportamenti identici in persone con storie e culture differenti.

Non mi riferisco solo ai comportamenti definiti positivi, quello che mi sconvolge e mi crea molti problemi è la similitudine del male!

Questo mi fa pensare molto, mi rendo conto che forse siamo più semplici e meno evoluti di quanto ci vantiamo o vorremo essere.

Si dice anche che la storia si ripete, quante volte abbiamo usato queste parole per esprimere stupore e allo stesso tempo consapevolezza sugli atteggiamenti dell’uomo… Gli errori sono sempre gli stessi. I motivi per cui si fanno le guerre, per cui si fa la pace e per cui le persone si comportano in un certo modo si ripetono come in un modello matematico. Qualcuno lo ha elaborato, scritto e inserito nel nostro DNA.

Se fossimo delle automobili potremmo essere contraddistinti così: motore di cc 1000, servosterzo, potenza cavalli, finestrini elettrici.  Invece come uomini potremmo essere  descritti: aggressività 1000, violenza 500, bontà 300, amicizia 1000, amore 1000, invidia 400…

Ma io rifiuto questa caratterizzazione e anzi voglio credere che non sia cosi, che noi non siamo una semplice ripetizione o applicazione di medesimi atteggiamenti o il risultato di emozioni inconsapevoli ed incontrollabili.

Certo qualcosa mi sfugge, mi sfugge il perché l’uomo, nonostante sia un essere che pensa, che impara, non riesca a non ricadere negli errori già fatti né a correggere alcuni suoi difetti congeniti.

Parlo dell’odio, parlo della guerra. Ma non solo. Potrei parlare anche dell’egoismo, dell’avidità, dell’invidia e avanti avanti fino ad elencare tutti i difetti di questa cosa che definiamo umanità.

Mi viene da pensare che la natura  abbia programmato un’evoluzione al contrario per la razza umana.

Più migliora il nostro tenore di vita e più, in egual misura e anzi maggiormente, cresce la nostra capacità di provocare danni.

La nostra è un’evoluzione dedita al suicidio collettivo, mondiale!

E’ un controsenso, un cortocircuito pazzesco!

Eppure sembra proprio cosi.

Quello che siamo e quello che sappiamo dovrebbe essere già sufficiente ad annientare e correggere una volta per sempre gli errori.

Diffondere il benessere dovrebbe essere una cosa ovvia, invece se ne fa solo retorica strumentale ad uso e consumo di qualche Stato o del Potente di turno.

E quindi purtroppo tutto si ripete, sempre uguale.

Ma adesso per capire il senso pensiamo più semplicemente alle nostre singole vite, a quante volte abbiamo fatto, ripetuto gli stessi errori, gli stessi atteggiamenti che poi ci hanno portato alla rovina, alla fine di una storia d’amore, alla perdita di un amico, al fallimento nel lavoro. Se ci pensiamo, tutti noi sappiamo, nella maggior parte dei casi sappiamo perfettamente dove abbiamo sbagliato, cosa non andava in questa o quella cosa. Perché siamo dotati di consapevolezza, di capacità di analisi, di revisione. Ma la maggioranza di noi continua a ripetere, a commettere sempre gli stessi errori a proprio danno e delle persone che ci sono attorno, che quindi spesso diventano vittime.

Invertire l'”evoluzione al contrario” è la priorità di tutti noi!

E coloro che sono le vittime sono i primi ad imparare, a conoscere e a essere consapevoli che è necessario un cambio di rotta.

Sorge ovviamente una domanda: perché? perché si continua su questa strada?

Io la mia risposta l’ho trovata, è  un po’ complicata e magari ne parliamo in uno dei prossimi post.

Quello che mi rende ancora un po’ fiducioso verso l’umanità è la palese esistenza di alcuni aspetti positivi nell’uomo.

Per esempio l’amore, la bellezza, la generosità, la bontà, l’amicizia, l’innocenza di un bambino.

La consapevolezza che forse non tutto nasce già rotto, rovinato, corrotto!

A questo voglio credere e questo voglio farvi vedere !

Tunisia, campo profughi Ras Jadir, un bambino somalo mi accoglie con entusiasmo.

In seguito alla crisi libica, decine di migliaia di lavoratori africani sono stati costretti a scappare in Tunisia da dove, accolti nel campo profughi di Ras Jadir, sono successivamente stati rimpatriati verso i loro Paesi di origine.  Mentre cammino per il campo mi imbatto in questo stupendo bambino somalo. Sta con il suo papa fuori dalla tenda, mi avvicino lo guardo, gli sorrido e lui cosa fa? Comincia a giocare con me, ricambia il mio sorriso, mi tende le braccia. Bellissimo!

Tunisia, campo profughi Ras Jadir.

Una famiglia somala sta tornando alla tenda dopo essere stata all’ospedale per una visita di controllo al bambino.  Mi ha colpito soprattutto lo sguardo che il padre rivolge al figlio, la cura con cui lo tiene tra le braccia.

Tunisia, campo profughi Ras Jadir, ospedale da campo, una mamma somala con il suo bambino.

Bulgaria, Belogradchik, il piccolo Nicolas con sua madre.

All’inizio del 2011 sono stato in Bulgaria per seguire il progetto “La strada del cibo”,  in collaborazione con Elisabetta Tiveron (guardate il blog omonimo), avevamo fatto tappa nella cittadina di Belogradchik. Passeggiando senza mèta per le strade ci imbattiamo in un rione gypsy e senza pensarci ci infiliamo tra baracche e umili casette. C’erano macchine smontate ovunque, poche persone in giro. Diciamo che non assomigliava ad un posto molto raccomandabile. Mi sono detto: dai, rischiamo, siamo qua, che vuoi che ci succeda. Osservo un po’ guardingo quello strano paesaggio urbano, scatto qualche foto. Un ragazzino mi corre incontro, si ferma e mi guarda un po’ sorpreso. Ci guardiamo, sorrido e lo saluto, lui ricambia con un saluto e mi invita a seguirlo dentro una casa. Io ed Elisabetta ci scambiamo un’occhiata, cerchiamo di analizzare, valutare la situazione, potrebbe essere uno sbaglio. Entriamo nell’abitazione e scopriamo con sorpresa che non era una casa ma un bar e punto vendita di generi alimentare. Ai tavoli c’erano persone che bevevano, subito la loro attenzione  si rivolge verso di noi, c’è stupore per l’inattesa visita dei due sprovveduti viaggiatori italiani con macchina fotografica di buon valore al collo. Pochi secondi per studiarci, sorrido, butto qualche sguardo amichevole ai presenti, cerco conferme, mi presento. Inaspettatamente veniamo accolti, ci invitano a sedere. Cerco ancora conferme, mi sfilo la macchina dal collo, l’abbandono con noncuranza su un tavolino senza preoccuparmi di controllare se qualcuno l’ha adocchiata.  Subito la mamma di Nicolas, proprietaria del bar, ci prepara un caffè. In pochi minuti eravamo amici, cercavamo di comunicare un po’ in inglese e un po’ a gesti. A questo punto chiedo il permesso di fare delle foto, allegramente tutti i presenti accettano e con mia grande gioia scatto delle immagini magnifiche.

Bulgaria, Belogradchik, avventori del piccolo bar nel rione gypsy.

Bulgaria, Belogradchik. Un cliente del piccolo bar.

Bulgaria, Belogradchik. Il piccolo Nicolas posa per noi.

L' Elisabetta con il piccolo Nicolas.

Bisogna avere fiducia!

Nicola Fossella

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