Scandinavia record di suicidi? Una leggenda

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Questo post nasce con una settimana di ritardo. Lo scorso week-end sono stata viziata da due giorni di sole, con 20 gradi costanti, e da una meravigliosa gita a Brusand. Come potevo, circondata da acque cristalline e da gente che saltellava felice in costume da bagno, scrivere di suicidi?

Oggi il caldo è sparito, siamo tornati ai classici 13 gradi, dalla finestra vedo solo il cielo grigio e l’oceano, dello stesso colore. Non vedo norvegesi felici nell’arco di un chilometro, anzi, non vedo nessun norvegese e, se lo vedessi, non credo sarebbe felice perché sarebbe a mollo nelle acque gelide dell’oceano. Quello dei “norvegesi-gente-triste” è un tormentone che non passa mai di moda e si presenta abbastanza spesso quando parlo della Norvegia con amici italiani. Tipica discussione:

LUI: “ eh si, è tutto efficiente lassù, ma fa freddo”.
IO: “si, l’inverno norvegese è freddo, ma anche quello piemontese non è caldo”.
LUI: “è difficile socializzare, noi mediterranei siamo gente solare”.
IO: “è più difficile per uno straniero socializzare con gli italiani: se non sa la lingua, qui in Norvegia almeno può parlare inglese”.
LUI  (FRASE JOLLY): “ma sono gente triste, fa sempre buio, SONO QUELLI CHE SI SUICIDANO DI PIÚ AL MONDO”.
E IO non rispondo.

La verità è che detesto parlare di morte. Sono una di quelle persone che provano angoscia profonda al pensiero di bare, tombe e funerali. Citando Woody Allen, “non è che ho paura di morire, è che non vorrei essere lì quando succede”. Ora però sono stufa di accettare questa verità non confermata, questa leggenda internazionale, senza poter replicare. Districandomi tra classifiche internazionali e rapporti del World Health Forum,  ho cercato di capire quanto effettivamente i miei vicini di casa nascondano, dietro al sorriso con cui mi salutano, una voglia tremenda di farla finita.
L’Organizzazione Mondiale per la Sanità redige ogni anno una classifica dei paesi per numero di suicidi, utilizzando come dato di riferimento il numero di suicidi annuali per ogni 100.000 abitanti. Le statistiche sono basate sui rapporti ufficiali di ogni paese che, purtroppo, non sempre sono aggiornati allo stesso anno. Al primo posto troviamo la Corea del Sud, con 31.7 suicidi ogni 100.000 abitanti. Dobbiamo scendere molto più in basso nella classifica per trovare i primi scandinavi: i cugini Finlandesi si posizionano al 19° posto, mentre gli  svedesi si trovano al 23°.
Curiosamente, però, al 24° posto troviamo la Francia.

In barba a tutte le teorie sulla proporzionalità tra oscurità e suicidi, i francesi dimostrano che, evidentemente, tanto sole, un ottimo vino e una marcata presunzione, in certi casi, non sono sufficienti per vivere felici. Sono la prima a dire che la vita sia migliore con tanto sole, ma questo non vuole assolutamente implicare che la sua mancanza sia sufficiente a spingere la gente al suicidio! A conferma di ciò, la Norvegia si trova 11 posti più giù della Francia, 4 posti dopo la torrida Cuba, alla 35° posizione, seguita dalla Danimarca alla 36°.  L’istituto di salute pubblica norvegese registra annualmente i tassi di suicidio e ne analizza meticolosamente le cause, per prevenire e limitare il più possibile i futuri tentativi. Ogni anno in Norvegia, su una popolazione totale di 5 milioni di abitanti, si registrano circa 530 suicidi: 150 donne e 400 uomini.
Non finisce qui: la rivista americana Forbes ha redatto la classifica dei paesi più felici al mondo, e i norvegesi risultano al primo posto, affiancati sul podio da danesi e svedesi. La classifica si basa sull’indice di prosperità, che tiene conto non solo del benessere economico, ma anche e soprattutto, di altri fattori: società civile, stabilità delle istituzioni, libertà di espressione, livello medio di accesso all’istruzione, percezione di sicurezza.
Insomma, dati alla mano, da dove arriva questa teoria dei norvegesi dal suicidio facile, così globalmente popolare?
Tra i primi a parlare di suicidi in Scandinavia troviamo, alla fine dell’800, il sociologo francese Émile Durkheim. Egli ha analizzato la differenza tra i suicidi nelle popolazioni cattoliche e protestanti, concludendo che il maggiore controllo sociale del cattolicesimo comportasse un ammontare nettamente inferiore di suicidi. La Scandinavia, in quanto paese protestante e con regole sociali meno conservatrici, aveva quindi, secondo Durkheim, tassi più elevati di suicidi. Tuttavia, il merito della diffusione globale dell’idea degli alti tassi di suicidio scandinavi spetta soprattutto agli Stati Uniti d’America.
Negli anni ’60 il presidente Eisenhower ha parlato dei rischi derivanti dall’adozione di un welfare state pubblico, prendendo come termine di riferimento la Svezia: secondo questo discorso, il “socialismo” era un fallimento clamoroso e gli alti tassi di suicidio svedesi ne erano la dimostrazione.  Si è dimenticato di dire, però, che la Svezia di allora era uno dei pochi paesi al mondo in possesso di dati relativi ai suicidi. Non avendo all’epoca termini di paragone rispetto ad altri paesi, quindi, risultava difficile stabilire se si trattasse di dati effettivamente elevati.
Questo dato volutamente male interpretato si è così perpetrato nel tempo, evolvendosi allo status di verità non solo svedese, ma scandinava: se da quelle parti tutti hanno freddo e fa buio, ne consegue che sono tutti socialisti dalle forti tendenze suicide! Paradossalmente, gli Stati Uniti di Eisenhower, così timorosi del welfare state pubblico, risultano oggi al 34° posto nella classifica dei paesi per tasso di suicidi, e, per la prima volta da anni, sono usciti dalla Top Ten della classifica dei paesi più felici al mondo.
Per chi avesse voglia di controllare tali dati, vi indirizzo alle fonti che ho usato io:
Forbes: http://www.forbes.com
World Health Organization: http://www.who.int/en

Ovviamente altri studi danno dati diversi: ad esempio, il Washington Post prende in considerazione lo studio della Organization of Economic Cooperation and Development, che piazza gli Stati Uniti al 6° posto al mondo.
OECD: http://www.oecd.org/

Camilla Bonetti

Leggi: ecco perché trasferirsi in Norvegia

Trasferirsi in Norvegia, istruzioni per l’uso

– Cercare lavoro in Norvegia

– Offerte di lavoro in Norvegia

e tutto il bellissimo blog di Camilla

– E se invece state pensando all’Australia….

Articolo pubblicato la prima volta il 17 giugno 2013

Photo by engin akyurt on Unsplash

Ti potrebbe interessare

Una rassegna di cinema israeliano
Giorgia e una Petra da salvare
Così muore una giornalista ad Aleppo
Una bevuta al volo
Una Cina senza censura