Oggi, un anno fa, la strage dei senegalesi

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Oggi, un anno fa, a Firenze, un misto di follia fascista, isteria da crisi e bieco razzismo lasciava senza vita in piazza Dalmazia i corpi di due giovani senegalesi ferendone gravemente altri tre. Una strage che per pochi minuti riaccese i riflettori sul razzismo che cova nella pancia del Paese.

E’ giusto ricordare quel giorno nefasto per la storia della nostra Repubblica, per la nostra coscienza rimossa. Riporto qui di seguito la mail arrivata questa notte da Giap, la newsletter di wumingfoundation, che avanza delle interessanti riflessioni:

Oggi esce nelle sale italiane il primo episodio della trilogia cinematografica tratta dal romanzo Lo Hobbit di J.R.R.Tolkien. Questo nostro post però non parlerà del film, e inizierà invece ricordando che oggi cade l’anniversario della strage di Firenze, nella quale Gianluca Casseri, armato di una 357 magnum, ha ucciso a sangue freddo i cittadini senegalesi Samb Modou e Diop Mor, e ha ferito gravemente Sougou Mor, Mbenghe Cheike e Mustapha Dieng (quest’ultimo rimasto tetraplegico e afono a vita). Dopodiché, una volta circondato dalla polizia, l’assassino ha rivolto l’arma contro se stesso e si è suicidato.

La coincidenza è due volte triste, se si pensa che l’omicida, oltre a essere un simpatizzante di Casa Pound Italia, era anche un fan di Tolkien e faceva parte di quella cerchia di commentatori di destra che per decenni hanno imposto all’opera del professore di Oxford le più bislacche letture tradizionaliste (WM4 se n’è occupato dettagliatamente qui). Casseri era stato uno degli autori inclusi nella collettanea ‘Albero’ di Tolkien (Bompiani, 2007), curata da Gianfranco De Turris – già segretario della Fondazione intestata al pensatore razzista e antisemita Julius Evola – nella quale sono raccolti i contributi di svariati esponenti della suddetta cerchia (insieme ad alcuni sparuti “esterni”).
Nel giorno in cui Lo Hobbit, a tre quarti di secolo dalla sua pubblicazione, diventa un prodotto cinematografico destinato all’intrattenimento delle platee mondiali, con tutto il portato di glamour, merchandising, e penetrazione nell’immaginario collettivo, noi vogliamo ricordare le vittime dell’odio razzista e al tempo stesso sostenere ancora una volta la liberazione di Tolkien dalla presa di certi suoi ammiratori.

Per farlo citiamo il saggio di Verlyn Flieger (Università del Maryland) dal titolo “Ci sarà sempre una fiaba”: J.R.R.Tolkien e la controversia sul folklore, contenuto nella collettanea fresca di stampa “C’era una volta Lo Hobbit”: alle origini del Signore degli Anelli, Marietti 1820 (€ 22).
Flieger spiega che nella celebre conferenza Sulle Fiabe (1939), Tolkien non solo traccia una guida operativa per la sua attività di narratore messa in atto ne Lo Hobbit, ma risponde anche alle maggiori teorie sul folklore ancora in auge a quell’epoca. Nella controversia tra teoria indo-ariana e teoria primitivista/evolutiva che aveva connotato il secolo d’oro degli studi sul folklore e sulle fiabe, Tolkien ribatte a entrambe piuttosto nettamente e lo fa forse più da narratore che da filologo. Tra gli studiosi che affronta c’è Sir George Dasent (1817-1896), sostenitore dell’origine ariana del folklore e delle fiabe nordiche, il quale parlava di queste in termini di «letteratura popolare della razza» e «racconti che l’Inghilterra aveva un tempo in comune con tutte le razze ariane». Tolkien definisce l’impostazione di Dasent «un guazzabuglio di preistoria fasulla, basata sulle prime supposizioni della filologia comparata», e contesta la futilità dell’ossessiva ricerca delle origini, che porta a scarnificare le storie fino a ridurle all’osso, sacrificando ogni stratificazione, ogni elemento inventivo, creativo, originale, alla pretesa di scovarne il nocciolo duro (e, nella fattispecie, ariano). Questa ossessione fa perdere per strada «l’effetto letterario» e la «significanza letteraria», i veri responsabili del perdurare delle fiabe nella nostra cultura. Nel 1939 il mitopoeta Tolkien teneva a marcare la propria distanza da un certo approccio, in un momento in cui era ormai palese dove fosse andato a parare, grazie all’uso che ne avevano fatto i nazisti in Germania.

Per Tolkien «chiedere quale sia l’origine delle storie è chiedere quale sia l’origine del linguaggio e della mente»: le storie nascono con noi e sono più importanti della loro presunta radice primigenia. Insomma, non c’è trippa per gatti con gli stivali di cuoio lucidato. Tanto meno per i pistoleri di oggi e per i loro sodali, che ancora vorrebbero arruolare a forza il sottotenente Tolkien nella loro nefasta battaglia.

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