Profughi nella valle della Bekaa

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Ali ha 28 anni, è nato a Jaleel, campo profughi in cui settemila palestinesi vivono ammassati in un quadrato di case del lato di un chilometro scarso. A farla larga a dire il vero. Baalbeck, nella valle della Bekaa – mille metri di altezza, stretta tra la catena dei monti Libano coperti di neve e il confine con la Siria, patria degli Hezbollah – è casa sua da quando è nato. Suo nonno arrivò qui dal nord della Galilea nel 1948, con la prima ondata di profughi, lasciando in Palestina metà della famiglia e tutti i suoi sogni.

“Quello che vorrei è tornare nella nostra terra, come tutti”, dice Ali. O anche quello di vivere una vita normale, sembrano dire i suoi occhi. I profughi palestinesi in Libano conducono un’esistenza di privazioni, con grosse limitazioni al lavoro, scarsa integrazione sociale, nessuno sbocco se non il sogno frustrante di un ritorno impossibile nella terra promessa o quello alienante della fuga. “Il 52% degli uomini qui sono disoccupati – racconta Ali -. Il nostro problema maggiore è la sicurezza interna del campo, mantenuta da due commissioni differenti, una di Fatah e una di Hamas (la polizia libanese non può entrare, l’ingresso è sorvegliato da un miliziano palestinese armato di mitra, ndr), perché i giovani sono esasperati e senza prospettive. Basta poco per accendere l’esasperazione”. Passeggiando per i vicoli di Jaleel si incontrano bambini e ragazzi. Tanti. L’istruzione gliela fornisce l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati, ma l’abbandono scolastico è alto.

Bambini giocano con un finto fucile

Hanno bisogno di giocare, sfogarsi, ridere. Come tutti i ragazzi del mondo, forse un qualcosa in più. E in questo dedalo di cemento l’unica “oasi” per loro è rappresentata da Children of Al Jaleel cente, il centro dove Ali quotidianamente aiuta i suoi “concittadini” più giovani. Cosa fanno? Di tutto: corsi di informatica, attività sportive, studio delle tradizioni palestinesi, educazione alla pace e ai diritti.

La struttura si regge in buona parte grazie alla Cooperazione Italiana che qui ha il marchio di Oxfam Italia (Ucodep) e il volto di Francesco Pulejo (l’autore del nostro blog su Beirut). Non solo mezzi, ma soprattutto formazione e progettualità per costruire percorsi di crescita e liberazione sociale. Proprio questa mattina sono stati consegnati i diplomi a quindici ragazzi tra i 15 e i 25 anni che hanno seguito un corso in Grafic Design organizzato all’interno di un progetto sostenuto dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Firenze e quella di Massa e Carrara. Un diploma finalmente riconosciuto anche dal governo libanese. Sono venute anche le “autorità”. E’ stato un evento. I ragazzi erano contenti. Uno strumento in più per provare a disegnare sogni possibili.

Lu.B.

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