Ritratto della Fenice in fiamme: venticinque anni fa l'incendio del teatro lirico veneziano

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Troppo spesso i libri pubblicati in occasione degli anniversari finiscono per ridursi a piccoli monumenti cartacei da lasciare, intonsi, sui ripiani delle librerie.
La Fenice, 29 gennaio 1996. La notte di fuoco: storie, interviste e articoli” di Vera Mantengoli è, invece, qualcosa di molto diverso. Perché non si limita a ricordare quanto avvenuto a Venezia in quella notte di fine gennaio di venticinque anni fa, ma fornisce anche un resoconto completo di come si è giunti alla riapertura del Teatro La Fenice il 14 dicembre 2003.
Oltre all’incendio, trovano quindi spazio le indagini che rivelarono che il rogo era doloso, lo stallo delle imprese bloccate dai ricorsi, la riapertura del 2003 e La Fenice oggi.
Un testo che, come esplicitato dalla stessa autrice, non è solo celebrativo: “Lo scopo è anche quello di mostrare come la città sia un organismo vivo i cui edifici non sono soltanto meri contenitori”.


La Fenice, 29 gennaio 1996. La notte di fuoco: storie, interviste e articoli” è suddiviso in cinque parti: la prima contiene le testimonianze di dodici persone che hanno assistito al rogo del Teatro, la seconda ricostruisce il “caso Fenice” a partire dalla conversazione con il pubblico ministero Felice Casson, mentre la terza è una fondamentale cronologia, un supporto essenziale alla comprensione della quarta parte: l’Archivio, composto da una quindicina di articoli de “La Nuova di Venezia e Mestre”. Un mosaico formato da tessere prodotte in tempi differenti.
A partire dalla notte dell’incendio che della Fenice lasciò solo “la punta di un becco che si ergeva tra i tetti” (Anna Toscano), passando per l’acceso dibattito su come andasse ricostruita la Fenice, per i colpi di scena del processo e la condanna dei responsabili, fino alla riapertura del Teatro.
A concludere il volume, una galleria delle fotografie di Gianfranco Tagliapietra, storico fotografo de “La Nuova”.
Nel complesso, emerge un quadro completo in cui spiccano le tinte forti delle testimonianze, in particolare quelle del custode e quella del vigile del Fuoco alla guida dell’elicottero che svolse un ruolo fondamentale nello spegnimento dell’incendio.
Per motivi diversi, risulta particolarmente drammatico il racconto di Giuseppe Paggiaro, il custode che si trovava all’interno del teatro quando le fiamme sono divampate: “Stavo andando in direzione del Palco Reale e lì ho visto un fumo nero e denso. Immediatamente l’aria è diventata irrespirabile. Ho iniziato a tossire perché mi mancava il fiato. Stava succedendo qualcosa dentro, ma dove? Il primo pensiero è stato quello di assicurarmi che il fotografo non ci fosse. Sono corso nel suo ufficio e invece l’ho trovato là, davanti a una scrivania piena di foto e negativi. Bepi! Bepi! C’è del fumo nella seconda fila palchi, dove c’è il Palco Reale! ho urlato sconvolto”.
Momenti a cui sono seguiti la fuga verso l’uscita, l’allarme ai Vigili del Fuoco e anni di sospetti immotivati, terminati solo con la sentenza definitiva.
Ma se l’incendio non si è diffuso a macchia d’olio, lo si deve anche e soprattutto all’intervento dell’elicottero dei pompieri guidato da Roberto Tentellini che ricorda così quella notte: “Sapevo che c’era il divieto di sorvolare Venezia a meno di mille metri e che nessuno prima di quel momento lo aveva fatto, ma se volevamo spegnere le fiamme e scongiurare il rischio che raggiungessero i palazzi limitrofi, quelle norme dovevano essere trasgredite. E così ho fatto, senza nessun dubbio”.
L’incendio fu domato solo alle prime luci dell’alba grazie a un elicottero monomotore denominato “Drago 35” che, invece di sputare fuoco, ha vomitato una valanga d’acqua sulle fiamme che stavano incenerendo la Fenice.
Ceneri da cui è risorta nel dicembre del 2003, ma da lì in poi, è stata soprattutto l’acqua a far vivere i momenti più difficili del teatro lirico veneziano. Lo ricorda nelle ultime pagine del volume, il Sovrintendente Fortunato Ortombina: “La Fenice ha dovuto affrontare altri due momenti difficili, uno ancora in corso. Il primo è stato l’acqua alta eccezionale del 12 novembre 2019 di 187 centimetri che ha inondato in tarda serata i quadri elettrici con una violenza e velocità mai viste. Poi la pandemia di Coronavirus o Covid-19″.
Quest’ultima non è ancora terminata e, anche se non ha messo a repentaglio la struttura dell’edificio, ha colpito e sta colpendo duramente proprio quell’”organismo vivo” descritto da Vera Mantengoli: ”Quei luoghi impregnati di speranze, ricordi e desideri la cui esistenza è inscindibile dalla vita dei suoi abitanti”.

MB

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