Se il canto è un superdiffusore: lo strano caso del Covid nel Nord Europa
Nei paesi di lingua tedesca si canta ovunque e spesso, dalla birreria alla parrocchia. Altro che lo stereotipo dell’Italia canterina! Una miriade di cori, amatoriali e professionali, preme per tornare a fare prove. In alcune regioni è già permesso, ma con regole piuttosto rigide. Un problema non da poco è l’età media dei coristi, soprattutto nei gruppi amatoriali, piuttosto alta, quindi con parecchi elementi nella categoria considerata a rischio.
Con la pandemia in corso, cantare in coro, specialmente in spazi chiusi, può essere pericoloso. La Süddeutsche Zeitung titola “Lo Spirito Santo è un superdiffusore”* per raccontare l’episodio di una piccola comunità cattolica nel Mecklenburg-Vorpommern, Land nel nord della Germania, ove finora c’erano stati pochissimi casi di covid-19, ma dopo la messa di Pentecoste, in cui il sacerdote era contagiato senza saperlo, hanno dovuto mettere 340 fedeli in quarantena.
Il sospetto è che col canto si crei una nuvola di aerosol, particolarmente pericolosa in spazi chiusi e poco aerati. Casi noti di contagi all’interno dei cori sono numerosi. Il 21 marzo la Berliner Domkantorei ha fatto prove con 80 cantori in 120 metri quadrati. Cinque giorni più tardi un corista ha manifestato i sintomi del covid ed in seguito ben 60 cantori si sono ammalati.
L’esecuzione della Johannes-Passion da parte del ”Gemengd Koor”, un coro amatoriale di 130 elementi, ad Amsterdam l’8 marzo ha portato a più di 100 malati, alcuni così gravi da richiedere la terapia intensiva, e 4 morti. Si sono contagiati anche il direttore, gli strumentisti ed i solisti. Secondo gli esperti, la colpa è dello spazio angusto ove si sono svolte le prove, perché ci sono stati casi trascurabili tra il pubblico. Un caso precedente si era verificato negli USA, ove tre quarti dei coristi si sono contagiati dopo una prova.
Eppure i fedeli non possono rinunciare al canto comunitario, specialmente nelle piccole chiese libere, ossia non afferenti alle confessioni principali. Nelle grandi chiese protestanti o cattoliche ci si attiene alle regole d’igiene ed ai consigli per limitare la diffusione del virus, esattamente come in Italia, con posti segnati a distanza, uso delle mascherine, portali e finestre aperte ed il canto riservato ad un professionista mentre l’assemblea ascolta. Ciononostante ci sono delle differenze anche notevoli tra i diversi Bundesländer e pure tra confessioni.
Per esempio, ad Amburgo si può cantare, ma mantenendo una distanza di 2 metri e mezzo. In Mecklenburg-Vorpommern, la chiesa evangelica ha vietato il canto comunitario. Nella diocesi cattolica di Monaco e Freising è concesso in forma limitata e con 4 m di distanza tra fedeli. Un sondaggio di WDR e NDR in Germania ha rilevato che 35 delle 58 chiese considerate nella regione vietano il canto dei fedeli o lo sconsigliano. In 20 comunità il canto è permesso ma solo con mascherina e grande distanza tra i fedali. In due chiese non ci sono limitazioni ed in una non si sono ancora riprese le attività religiose.
A pagarne le conseguenze maggiori sono i vari cori che nelle chiese cantano e provano. In questo caso, le differenze regionali aumentano ulteriormente. Per esempio, la chiesa evangelica in Sassonia consiglia 6 m di distanza tra cantori di cori amatoriali e solo 2 m per cantanti professionisti. In certi posti, si ricorre alla musica riprodotta. Perché è così difficile per i cristiani di lingua tedesca rinunciare a cantare? Perché il canto dei corali, consolidato in secoli di pratica, è una parte fondamentale della liturgia domenicale. Sia strimpellando una chitarra, sia intonando assieme un corale luterano della guerra dei 30 anni, i fedeli si sentono parte di una comunità. Per questo sembra strano che ora, causa virus, il canto sia riservato al clero. Un ritorno al Medioevo, secondo gli autori dell’articolo sulla Süddeutsche, che concludono con una provocazione: ci manca solo che la liturgia torni in latino!
Come funziona in Austria, ove pure i cori sono più numerosi delle fermate dell’autobus? I tre mesi di pausa obbligata pesano per tutti. È arrivata l’ora di riprendere le prove, ma con alcune regole. Ognuno si porta i propri spartiti e di canta a debita distanza. Una sfida in più per i direttori, che si trovano davanti un coro distribuito su un’area piuttosto estesa. Tutti felici di riprendere, ma qualche coro deve attendere ancora, perché magari non ha disposizione uno spazio sufficiente o i coristi sono troppo anziani per correre il rischio di contagiarsi. Le varie iniziative corali programmate per l’estate devono essere rimandate.
Lidia Pittarello
pubblicato per la prima volta a giugno 2020