Senegal, al voto con l’ombra dell’astensionismo

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Domenica 1 luglio più di cinque milioni di senegalesi si sono recati alle urne per eleggere per la dodicesima volta da quel lontano 1963 i 150 deputati che li rappresenteranno all’Assemblea Nazionale. Il neo-eletto presidente Macky Sall, che rischia di non ottenere la maggioranza, deve affrontare il primo grande banco di prova. Il suo peggior nemico? Non più Abdoulaye Wade, ma l’astensionismo.

Ha chiesto di votare per lui, Macky Sall. Lo domanda al suo popolo una terza volta, per permettergli di dimostrargli di essere degno della fiducia riposta in lui più di tre mesi fa, in quel non lontano 26 marzo in cui lo ha preferito all’anziano Abdoulaye Wade. Nei suoi primi cento giorni di governo il nuovo Presidente ha fatto non poco. Nonostante ciò, alla vigilia del voto Macky Sall non era tranquillo. A fargli paura non erano tanto gli appelli di alcuni politici e intellettuali a conservare la separazione dei poteri legislativo e esecutivo in nome di un giusto equilibrio democratico, ma soprattutto la minaccia dell’astensionismo.

Liste innovative. A testimonianza del fatto che il fenomeno del crollo delle grandi ideologie non riguarda solo l’Occidente, e se vogliamo della crescita della democrazia in Senegal, il numero di liste dei candidati deputati presentato è progressivamente aumentato nel tempo. E dalle 14 delle ultime elezioni del 2007, in cui comunque la sfida maggiore si concentrava tra i due grandi partiti storici, si è arrivati ora a un picco di 24 liste. Il fenomeno è rintracciabile anche nei nomi dei partiti: il francese dei partiti tradizionali (il Partito democratico e dal Partito socialista), oltre che dei partiti di Macky Sall (Alleanza per la Repubblica) e di Moustapha Niasse (Alleanza per le forze del profresso), sta lasciando sempre più spazio a compagini chedai nomi in wolof e prive di rifementi ideologici (“Slegare”,”Illuminare”, “Essere in piedi per il popolo” ecc.). Le liste presentate in questo appuntamento elettorale si distinguono anche da un punto di vista qualitativo. Se da un lato infatti non si è mai registrato un così alto tasso di partecipazione femminile nelle candidature, lo stesso discorso vale per i leader religiosi. Marabout più o meno noti nel Paese hanno presentato infatti ben cinque liste. Due di loro si sono già distinti per la loro attività politica: Serigne Modou Kara, a capo del PVD (Partito della verità e dello sviluppo), che aveva già pensato di candidarsi per le elezioni presidenziali salvo poi rinunciarci e dare una consegna di voto allusivamente a favore di Wade, e Mansour Sy Djamil, leader del Movimento cittadino per la rifondazione nazionale Bes du Nakk (“Verrà un giorno”), già militante nel Movimento 23 giugno e appoggiato Macky Sall.

Continua a leggere il reportage di Luciana De Michele su Assaman

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