Skype vs lettere a mano: emigrare ieri e oggi

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fuga di cervelliDa sempre, nei momenti di siccità, l’uomo ha due alternative: aspettare che piova, o spostarsi verso un luogo in cui stia già piovendo. Anche in Valsesia, nonostante sia soprannominata “La valle più verde d’Italia” per la pioggia che vi cade generosa ogni anno, sono molti quelli che hanno fatto i bagagli.

Negli ultimi cento anni, i Valsesiani sono emigrati soprattutto in Francia e Svizzera. Gli uomini partivano per imparare il mestiere di falegname o per lavorare stagionalmente, mentre le donne restavano a casa con i figli e i campi da coltivare. I primi coraggiosi partivano all’avventura e tornavano a casa dopo mesi, raccontando cosa avevano trovato oltre confine. Le loro storie sulla possibilità di crearsi una vita migliore convincevano poi qualche altro compaesano a tentare la fortuna. Nel tempo qualcuno riusciva a costruirsi una posizione tale da permettere anche alla famiglia di raggiungerlo.

La lingua francese non era poi così diversa dal dialetto valsesiano, si imparava abbastanza in fretta; era invece più difficile capire i connazionali all’estero, dato che ognuno parlava soltanto il proprio dialetto. Si tornava a casa per le vacanze estive e a Natale, affrontando con le macchine dell’epoca gli innevati passi alpini. Per il resto dell’anno dovevano bastare le lettere e le cartoline, grazie alle quali chi era a casa poteva farsi una vaga idea di dove si trovassero gli “emigrati”.

Molti di loro sono tornati alla loro valle, per godersi gli anni della vecchiaia tra vecchi amici e vecchie abitudini mai cambiate; tanti invece sono rimasti all’estero fino alla fine, ma hanno scelto di riposare, per sempre, ai piedi del Monte Rosa.

Paragonata ai miei nonni, si può dire che io sia partita avvantaggiata. Internet ha reso tutto molto più semplice: ho trovato casa online guardando le foto pubblicate dal proprietario e, grazie a Google Streetview, ho potuto perfino vedere il quartiere in cui si trovava; Google Translate mi ha permesso di tradurre automaticamente gli annunci di lavoro scritti in una lingua ancora sconosciuta, consentendomi di spedire i primi curriculum già dall’Italia; i blog e i forum di altri emigrati prima di me mi hanno permesso di farmi un’idea di cosa mi aspettasse all’inizio e della burocrazia da espletare una volta arrivata.

Se i miei nonni dovevano aspettare giorni perché una lettera raggiungesse i propri cari, ora c’è Skype: accedi e videochiami gratuitamente altre persone ovunque si trovino nel mondo. Finalmente la mamma può constatare il tuo effettivo stato di salute e la tua amica può aiutarti a scegliere l’abbinamento maglia-pantalone migliore per un colloquio. Cose che cinquanta anni fa sembravano impensabili.

Non importa quale lingua parlino gli abitanti del tuo nuovo paese, l’inglese ti salverà quasi sempre dall’effetto Babel, permettendoti la sopravvivenza base dei primi tempi. Poi i corsi online, i film con i sottotitoli e la vita quotidiana ti permetteranno di passare dallo status linguistico di turista a quello di effettivo abitante.

Certo, ci sono situazioni in cui Internet non è sufficiente: quando ti manca l’abbraccio di qualcuno lontano, quando pagheresti per mangiare una miaccia cotto e toma, quando vorresti una serata di chiacchiere e risate con le amiche di sempre al Manera. In quei casi, l’unica cosa che Internet può fare per te è aprire il sito di una compagnia aerea low cost che ti possa riportare a casa.

Camilla Bonetti

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