Superleague: il club dei ricchi extracomunitari

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La Superleague nasce monca e al momento sbagliato. Monca perché formata da squadre di soli tre campionati calcistici: inglese, italiano e spagnolo. Al momento mancano quattro delle otto squadre che hanno partecipato agli ultimi quarti di Champions League (Borussia Dortmund, Psg, Porto, Bayern) e squadre dalla grande tradizione europea come l’Ajax, il Napoli e il Benfica nonché quelle di tutta l’Europa orientale. Più che una Superlega appare come un esclusivo club del golf per ricchi impauriti dalla crisi economica che vogliono giocare tra di loro per evitare figuracce. Un “club dei club” formato da chi non accetta più di uscire sconfitto da squadre non considerate alla loro “altezza”. (Do you know Benevento?).
Insomma la totale negazione di quello che ha reso il calcio popolare in tutto il mondo: l’imprevidibilità, il fatto che la squadra più forte rischi di perdere nonostante i giocatori migliori e i soldi spesi.
Una Superleague europea che, quindi, non solo non è super, ma non può nemmeno dirsi europea visti i pochi paesi rappresentati e perché decisamente a “trazione extracomunitaria”. Oltre la metà delle squadre fondatrici è, infatti, di proprietà extra europea: Milan, Arsenal, Liverpool e Manchester United sono di proprietà statunitense, l’Inter cinese, il Chelsea russo e il Manchester City di Dubai.
Un torneo che si prefigura, quindi, senza storia, senza “geografia”, senza fascino e che nasce nel momento peggiore. Perché se si vuol fare la Nba europea lo si fa spinti dai fasti di stagioni spettacolari, non dopo un anno di calcio senza pubblico e in piena crisi.

Emblematico, da questo punto di vista, l’atteggiamento della Juventus che si trova a far parte di una Superlega dei “più forti” proprio nell’anno che la vede rischiare di non entrare in Champions League dopo aver vinto nove campionati consecutivi. Senza dimenticare che nelle due ultime edizioni di Champions League è stata eliminata da Porto e Lione, meno ricche ma più forti sul campo.
L’inno dell’attuale Champions League è pretenzioso all’inverosimile, ma resta preferibile al “Non gioco più. me ne vado…”, unica degna colonna sonora della Superleague varata nella notte.

Nurwald

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