Dall'idea al palcoscenico. Il regista Leo Muscato racconta la nascita di “Tempo di Chet”

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Leo Muscato è un apprezzatissimo drammaturgo e regista di prosa e opera, ma Walter Zambaldi, direttore del Teatro stabile di Bolzano, non l’ha scelto per la direzione di “Tempo di Chet” per il suo curriculum. La decisione era maturata negli anni, insieme all’idea dello spettacolo. Lo ha premesso lo stesso Muscato: “Con Walter ci annusavamo da anni, abbiamo sempre voluto fare qualcosa insieme. Sotto la sua direzione la Corte di Rubiera era stata particolarmente ospitale con me e non restava che aspettare per approfittare dell’occasione giusta”.
Occasione fornita dalle genialità di Chet Baker e Paolo Fresu: “Sì – prosegue Muscato – sono due figure talmente forti che il resto è venuto da sé. Zambaldi sapeva della mia passione per la scrittura ancor prima che per la regia e mi ha lasciato carta bianca”E quella carta ha incominciato a riempirsi fin troppo: “Per affrontare un personaggio controverso come Chet Baker ho dovuto studiare tanto. Possedevo solo qualche nozione sulla sua biografia, avevo ascoltate i suoi brani solo casualmente e saltuariamente, e quindi mi sono deciso ad a leggere e ascoltare tutto. Purtroppo ero pieno di impegni e quindi ho chiesto un aiuto a Laura Perini per avere una sponda costante. Insieme abbiamo condotto uno studio abnorme che ha finito per mostrarci quanto sarebbe stato difficile infilarsi in un racconto biografico classico, per questo abbiamo deciso di selezionare solo una parte della vita di Chet. Poi abbiamo chiarito il secondo punto: lo spettacolo doveva essere una via di mezzo tra l’aspetto musicale e quello teatrale, ma la superstar dell’evento doveva essere Paolo Fresu, tutto doveva girare attorno a lui. E così è stato”.

“Tempo di Chet”: foto di Tommaso Le Pera

Anche in questo caso il curriculum non ha svolto un ruolo fondamentale: “Lavorare con Fresu mi ha trasmesso una gioia inaudita. Abbiamo organizzato il nostro primo incontro a Roma dove lui si trovava per un concerto nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola. Ci sono andato insieme ad alcuni miei parenti che si trovavano a Roma appositamente per quell’evento e mi sono accorto subito di quanto Fresu fosse amato dal pubblico. Il giorno dopo, alle otto di mattina, abbiamo iniziato una lunga chiacchierata e ora posso dire di non avere mai incontrato un artista così empatico e altruista. Al di là del talento, mi ha dato subito la sensazione di essere in grado di farsi carico dello spettacolo con semplicità e generosità e questo mi ha permesso di fare tre passi indietro per lasciargli il meritato spazio”.

Chiariti i punti fondamentali, occorreva sistemare i dettagli: “La decisione di puntare su Fresu significava anche che gran parte del peso artistico dello spettacoli gravasse sulle sue spalle e ci siamo chiesti se non fosse stato meglio affiancargli un nome importante. Ci abbiamo pensato, ma ci siamo convinti che la sua spinta poetica fosse sufficiente, non mancavano i candidati anche importanti, ma ci è sembrata la scelta più giusta. Infine abbiamo deciso di non fare recitare Fresu per tenere ben distinti musica e recitazione”.
Confermata la linea, si è passati alla realizzazione concreta: “Fresu si è ritrovato a confrontarsi con i tempi del teatro di prosa, ma per un musicista, figuriamoci per un jazzista, 40 giorni di prove sono inconcepibili, aveva altri impegni pregressi e aveva già inciso i brani dello spettacolo. Su quelle musiche, abbiamo creato un testo e abbiamo lavorato con gli attori per il tempo necessario, poi insieme a Fresu abbiamo scelto i brani che facessero da cesura tra le varie parti drammaturgiche”.

Foto di Chet Baker di Michiel Hendryckx (da Wikipedia), foto di Paolo Fresu di Roberto Cifarelli

La musica di Fresu ha finito per essere presente nel 95% dello spettacolo, ma occorreva decidere quale parte della biografia di Chet Baker mettere in scena e in che modo. “Intanto dovevamo prendere in considerazione l’idea che non tutti gli spettatori conoscessero Chet Baker e quindi, occorreva offrire una panoramica della sua esistenza e della sua epoca. Per questo abbiamo deciso di suddividere il tempo di Chet in tre qualità: il tempo presente, il tempo dei flash back e un tempo in cui inserire bolle di pura riflessione di Chet”.
Più facile a dirsi che a farsi: “Costruire lo spettacolo in funzione della musica significava anche ridurre diverse possibilità drammaturgiche e, inevitabilmente, gli attori si sono ritrovati ad interagire con una struttura complicata, interpretando spesso diversi ruoli. Anche dal punto di vista registico ho dovuto fare alcuni passi indietro, privilegiando i discorsi al teatro d’azione, ma occorreva fare di necessità virtù tenendo conto che lo spettacolo non poteva essere troppo lungo”.

Ma tutto questo è solo una piccola parte del processo che porta uno spettacolo dalla sua ideazione al palcoscenico. Mancano luci, suoni, costumi, scenografie… (segue)

Massimiliano Boschi

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Foto di copertina: Paolo Fresu in “Tempo di Chet”: foto di Tommaso Le Pera, da http://www.leomuscato.com

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