Biennale Arte: Simone Leigh e Sonia Boyce Leoni d'oro, nel segno del femminismo e post-colonialismo

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Due Leoni d’oro nel segno della cultura postcoloniale, afroamericana e femminista: sono andati alla statunitense Simone Leigh e alla britannica Sonia Boyce i Leoni d’oro principali assegnati dalla giuria internazionale della Biennale Arte 2022, la prima edizione curata da una donna italiana, Cecilia Alemani.

Il padiglione della Gran Bretagna premiato con  Sonia Boyce

Il Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale è andato alla Gran Bretagna. Il padiglione è curato da Sonia Boyce e ha come protagoniste le voci di quattro cantanti che Boyce ha invitato, insieme a un compositore, a improvvisare in uno studio di registrazione. Il padiglione, intitolato Feeling Her Way, ha al centro quattro schermi che mostrano in contemporanea i video delle loro esibizioni.

si legge nelle motivazioni della  giuria, «propone un’altra lettura delle storie attraverso il suono. Lavorando in collaborazione con altre donne nere, svela una moltitudine di storie rimaste inascoltate. Boyce propone un linguaggio molto contemporaneo nelle forme frammentate che lo spettatore ricostruisce attraverso la sua esperienza nel padiglione. Vengono poste importanti questioni di prova in opposizione alla perfetta sintonia, così come le relazioni tra le voci in forma di coro, a distanza e in diversi punti della mostra».

Come si legge nella pagina dedicata sul sito della Biennale, «Sonia Boyce ritrae incontri sociali intimi che esplorano dinamiche interpersonali. Operando con disegno, fotografia, video e installazione, crea opere da immagini e voci catturate nel corso di eventi da lei promossi. La mostra Feeling Her Way è costituita da carte da parati a tassellature, strutture geometriche dorate e immagini in movimento colorate che immergono lo spazio nel suono di vocalist nere britanniche, incarnando sentimenti di libertà, potere e vulnerabilità. L’opera centrale mostra le cantanti mentre si incontrano, improvvisano e cantano a cappella, insieme per la prima volta, dimostrando così la potenzialità del gioco collaborativo come percorso verso l’innovazione, principio centrale della pratica artistica di Boyce».

La migliore artista è Simone Leigh

Leone d’Oro per il miglior artista alla Mostra Internazionale Il latte dei sogni è andato a Simone Leigh, come si legge nelle motivazioni della giuria, «per la monumentale scultura all’ingresso dell’Arsenale, rigorosamente ricercata, realizzata con virtuosismo, potentemente suggestiva che, insieme a Belkis Ayón, ha fornito un’avvincente apertura alle  idee, sensibilità e proposte di cui è costellato e animato Il latte dei sogni».

Il premio è stato consegnato dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che ha commentato: «C’è voglia di rinascita, di ripartire e di tornare a essere protagonisti della cultura e del turismo, dopo due anni di pandemia. C’è voglia di Venezia».

Luca Zaia e Simone Leigh

Luca Zaia e Simone Leigh

L’artista statunitense, come si legge nella pagina ufficiale sul sito della Biennale, utilizza tecniche scultoree premoderne e contemporanee, tra cui fusione a cera persa e smaltatura al sale combinate con materiali di forte valenza culturale quali conchiglie cipree, banane verdi, rafia e foglie di tabacco.

Attraverso questi strumenti, «Simone Leigh ha sviluppato nell’arco di due decenni – si legge sul sito, nel testo redatto da Madeline Weisburg – un corpo poetico di sculture, installazioni, video e opere di arte relazionale che pongono al centro la razza, la bellezza, la comunità e la cura, in riferimento al corpo delle donne nere e all’impegno intellettuale. In origine collocato sulla High Line di New York nel 2019, Brick House – il monumentale busto in bronzo di una donna nera la cui gonna ricorda una casa di argilla – torreggiava, simile a una divinità, sulla trafficata Decima strada di Manhattan. Creata come parte della serie Anatomy of Architecture (2016–oggi), Brick House appartiene a un gruppo di sculture che fonde corpi e riferimenti architettonici: dalle case a obice del popolo Mousgoum in Ciad e Camerun, agli edifici in argilla e legno dei Batammaliba in Togo, dalle statuette nigeriane ibeji, alla tradizione artigianale afroamericana del XIX secolo delle brocche antropomorfe, fino al Mammy’s Cupboard, un ristorante a Natchez, nel Mississippi, costruito con le sembianze dell’archetipo razzista della mammy, la cui enorme gonna rossa ospita la sala da pranzo. Evocando via via l’idea di contenitore, spazio confortevole, oggetto di consumo, santuario, Brick House fornisce un potente ritratto del corpo della donna nera come un luogo di molteplicità».

In copertina: Simone Leigh, Brick House, 2019. High Line Plinth Commission, High Line, New York City, 2019. Photo Timothy Schenck. Collezione privata.
Courtesy l’Artista; the High Line. © Simone Leigh
(da labiennale.org
)

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