Bucarest, luoghi e storie della Romania di Nicolae Ceaușescu
È la prima volta che visito Bucarest, capitale della Romania. Quando percorro le strade, visito i luoghi e parlo con le persone del posto, mi rendo conto a poco a poco che è come uno scrigno contenente tanti segreti. La storia di questo paese è un percorso di conquiste lente e sofferte, e il popolo nasconde ancora le cicatrici di un passato doloroso, quello di quarantadue anni di comunismo, dal 1947 al 1989, gli ultimi ventitré dei quali sotto la guida del dittatore Nicolae Ceaușescu. Quando arrivo a Bucarest percorro la città in cerca di luoghi e informazioni di questo periodo storico.
Il centro storico, un intreccio di popoli e culture lungo secoli
Il nome Romania non è casuale. Deriva dall’Impero Romano che durante il regno di Traiano conquistò questa parte dell’Europa orientale con una serie di guerre tra il 101 e il 106 dc, annettendola come provincia di Dacia (e non è casuale che la più nota azienda automobilistica romena abbia ereditato quel nome).
Inizio il giro passeggiando tra le vie del centro storico e subito salta all’occhio la differenza di stili architettonici. Vie strette in cui sorgono chiese ortodosse, confluiscono in vie ampie in cui si affacciano edifici in stile moderno. Mi fermo ad osservare la chiesa Stavropoleos, uno dei simboli di Bucarest. Si tratta di un antico monastero ortodosso costruito agli inizi del Settecento.
Bucarest, Chiesa Stavropoleos, foto di Elisa Treppaoli
Sia gli esterni che gli interni, come la presenza di archi trilobati e l’utilizzo del color oro, ricordano l’arte bizantina. Nel Medioevo, infatti, l’attuale Romania era divisa in due principati: quello di Valacchia e quello di Moldavia, entrambi sotto la sovranità dell’impero ottomano. I due regni si unirono nel 1859 dando vita allo stato come lo conosciamo noi oggi.
Cammino fino ad arrivare in Viale della Vittoria, o Calea Victoriei. Si tratta della via più antica e più importante della città che attraversa il centro storico da nord a sud. È così chiamata in onore della guerra di indipendenza contro i turchi combattuta a fianco dei russi tra il 1877 e il 1878. A guidare il Regno di Romania, c’era Carlo I, un principe tedesco appartenente alla dinastia Hohenzollern-Sigmaringen che rimase al potere fino al 1947.
Bucarest, Fiume Dâmbovița, foto Elisa Treppaoli
Palazzo del parlamento, i muri sussurrano ancora
Proseguo verso sud, attraversando il ponte sotto cui scorre il fiume Dâmbovița, fino ad arrivare alla struttura più imponente di Bucarest, emblema del regime comunista e in particolare di Nicolae Ceaușescu: il Palazzo del Parlamento, l’edificio più pesante al mondo e l’edificio amministrativo più grande del mondo. Il comunismo si affermò dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la Romania divenne uno stato satellite dell’Unione Sovietica e nel 1947 Re Michele di Hohenzollern-Sigmaringen fu costretto ad abdicare. Gheorghe Gheorghiu-Dej fu il primo esponente a guidare il paese fino alla sua morte nel 1965, quando Ceaușescu venne proclamato suo successore.
Ma chi era Nicolae Ceaușescu? Nato nel 1918 in una numerosa famiglia contadina nel villaggio di Scornicești, e con un padre spesso ubriaco, si trasferì a Bucarest all’età di undici anni per lavorare come apprendista calzolaio. Qui il suo mastro, simpatizzante dell’allora illegale Partito Comunista, lo coinvolse sempre più in attività di volantinaggio e propaganda per le quali fu arrestato diverse volte. L’ultima durante la Seconda Guerra Mondiale, dove finì in cella con Gheorghe Gheorghiu-Dej, futuro leader del paese, di cui divenne il protetto. Dopo essere salito al potere, Ceaușescu nel 1971 visitò il presidente nord-coreano Kim Il-sung del quale adottò il culto della personalità, ovvero l’idea di un popolo devoto al proprio presidente.
Entro nel Parlamento, che è possibile ammirare solo con visite guidate a cadenza oraria. Dopo aver camminato per un’ora tra sale conferenze riccamente decorate, la guida esordisce dicendo che la parte vista è solo il 5% dell’intera struttura. La costruzione fu iniziata nel 1984 per volere di Ceaușescu e al momento della sua fucilazione, nel 1989, non era ancora finita. La decisione venne presa a seguito della scossa di terremoto 7,2 della scala Richter del marzo 1977, che fece crollare centinaia di edifici e causò la morte di oltre 1400 persone. Il capo di stato chiese a degli esperti giapponesi la zona più sicura dove poter costruire l’edificio. Gli fu indicato il quartiere Uranus, una delle zone più antiche della città, situata su di una collina. Ceaușescu iniziò con i lavori di preparazione: fece distruggere case, ospedali, monasteri e templi. Le famiglie furono costrette in poco tempo a trasferirsi in nuovi blocchi di appartamenti nei quartieri periferici. Gli animali furono abbandonati e da quel momento fino agli anni 2000, il fenomeno dei cani randagi è diventata una piaga della città. Fortunatamente ci furono personalità del calibro di Eugeniu Iordăchescu, soprannominato l’ingegnere del cielo, che per evitare la distruzione di alcuni edifici li spostò attraverso un processo di traslazione, come il Monastero di Mihai Voda.
Bucarest, Palazzo del Parlamento, foto di Elisa Treppaoli
Dopo di che iniziarono i lavori di costruzione. Vi parteciparono 700 architetti e vi lavorarono tra le 20 e le 100 mila persone in tre turni per ventiquattro ore. Come spiega Brian Freeman nel suo libro “Polvere e sangue”, non è certo il numero delle persone che persero la vita a causa dell’inesistenza di archivi. Alcuni storici parlano di qualche decina, altri di un centinaio, altri di un migliaio. I sacrifici della società gli valsero il nome di Casa del Popolo, anche se molti romeni considerano l’edificio come una catastrofe o una tragedia sociale.
La vita nei blocchi di cemento
Riprendo il percorso e attraverso i Giardini Cișmigiu, il parco pubblico più antico e grande nel cuore della città, fino ad arrivare nella parte posteriore di Sala Palatului. Si tratta di un centro conferenze costruito alla fine degli anni Cinquanta in onore del terzo congresso del partito. Apparentemente privo di interesse, ricorda le tipiche costruzioni degli anni del comunismo. Sulla scia di una visione egualitaria della società, tutte le famiglie furono costrette a vivere costipate in piccoli appartamenti all’interno di enormi edifici a blocchi. Questo successe anche nei paesi limitrofi, ma la Romania di Ceaușescu andò oltre.
Nel 1966 il dittatore rese pubblico il bisogno di manodopera e il sogno di una nazione operaia che arrivasse a contare 25 milioni di persone nel 2000. Ne mancavano ancora 6 milioni. Questo si tradusse nel famigerato Decreto 770, con cui sanciva che l’aborto era illegale e chiunque lo avesse praticato o supportato sarebbe finito in carcere, perché come affermò: “Il feto è proprietà dello stato”. I contraccettivi scomparvero dai negozi. Nel 1967 nacquero il doppio dei bambini. Questa politica delle nascite ebbe un devastante impatto sociale con strascichi visibili ancora al giorno d’oggi.
Molte donne partorivano di nascosto e lasciavano i neonati in uno dei 700 orfanotrofi lager in cui, date le scarse condizioni igieniche e la denutrizione alimentare, molti morirono e altri finirono per sviluppare disabilità motorie, linguistiche e psichiche. Molte donne cercavano di abortire da sole. Alcune di queste finivano in ospedale con un’emorragia ed erano costrette a dire il nome di chi li aveva aiutate per non morire dissanguate. Si stima che a causa del tentativo di aborto morirono tra le 9500 e le 10 mila donne.
Lo sforzo di Ceaușescu per ripagare il debito estero piegò in due la popolazione: il pensiero costante delle famiglie era dove poter trovare un po’ di latte o pane razionato; spegnere la luce di notte, guardare la televisione solo due ore la sera e fare una vita il più ritirata possibile perché la polizia segreta aveva orecchie dappertutto. Nel 1988 la popolazione raggiunse i 23 milioni di abitanti. Ma in un anno le sorti della Romania sarebbero cambiate per sempre.
Piazza della rivoluzione, l’inizio della fine
Raggiungo infine il luogo simbolo del periodo comunista, Piazza della Rivoluzione. Qui si trova il balcone da dove Nicolae Ceaușescu parlò l’ultima volta. È possibile riascoltarlo e rivivere gli avvenimenti successivi su YouTube. Era il 21 dicembre 1989. Manifestazioni contro il regime erano già partite a Timișoara il 16 dicembre 1989, quando il governo tentò di espellere dalla sua abitazione il pastore ungherese László Tőkés che aveva manifestato il suo dissenso contro il regime comunista.
Bucarest, il balcone del palazzo del Comitato Centrale del Partito Comunista da cui si affacciò Nicolae Ceaușescu per l’ultimo discorso, foto Elisa Treppaoli
La folla si riunì sotto casa sua impedendo lo sfratto e a poco a poco crebbe finendo in scontri con l’esercito e la polizia segreta, che aprì il fuoco contro i manifestanti. Migliaia di uomini massacrati furono sepolti in fosse comuni. Il 21 dicembre 1989 Ceaușescu si affacciò dal balcone del Comitato Centrale e mentre parlava ad una folla di 100 mila persone, si alzarono grida di protesta. La folla si allargò e si agitò. E nonostante l’ordine di sparare e i morti, il giorno successivo altri manifestanti si riunirono nelle piazza principali. A Ceaușescu fu consigliato di fuggire in elicottero insieme alla moglie Elena, suo braccio destro, verso Târgoviște dove la coppia aveva un’altra residenza. In realtà l’entourage del dittatore lo aveva tradito. Il pilota dell’elicottero atterrò prima e i due coniugi tentarono una fuga in un’auto rubata, finché furono raggiunti da una pattuglia di polizia che li consegnò all’esercito. I Ceaușescu furono scortati fino a Târgoviște. Fu istituito un tribunale militare che li condannò senza processo alla fucilazione per i crimini di genocidio e danneggiamento all’economia nazionale. La sentenza fu eseguita il 25 dicembre 1989. Guardo il centro della piazza dove campeggia un obelisco alto 25 metri eretto in memoria delle vittime della rivoluzione. Vicino una lastra con i loro nomi.
Il fatalismo del popolo romeno
Sono sempre più convinta che l’attitudine di un popolo derivi dalla sua storia. Parlando con alcuni giovani nati negli anni Ottanta e Novanta, noto subito un atteggiamento schivo, diffidente. Spesso sono cresciuti con genitori che gli hanno ripetuto di non parlare con gli estranei, o di conversare a bassa voce; spesso hanno avuto parenti finiti in carcere, alcuni vivi per miracolo ma completamente deformati dalle violenze subite nelle prigioni comuniste. Come afferma uno degli intervistati nel libro di Brian Freeman “Tutti i rumeni sono fatalisti, la storia ci ha insegnato a soffrire. Ci ha preparato all’eventualità di perdere tutto”.
In copertina: Bucarest, vista dal Palazzo del Parlamento, foto Elisa Treppaoli