Pink bloc, black bloc e fughe notturne: Arciragazzi Vicenza a Genova

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Questo articolo fa parte dello speciale A Nordest di Genova sui 20 anni delle giornate del luglio 2001. A Nordest Di che mette a disposizione questo spazio per ricordi, emozioni, fotografie, testimonianze che potete inviare, in qualsiasi forma, alla mail redazione@anordestdiche.com

«È da vent’anni che le cerco, pensavo che non le avrei più trovate». Enrico Antonello, professore di musica e trombettista della band Osteria Popolare Berica, sfoglia i tre blocchetti che gli ho portato: raccolgono le sue fotografie a colori scattate al G8 di Genova. Il ritrovamento è una buona scusa per ritrovarsi con lui, Alessandro Valle e Marco Donello, all’epoca poco più che ventenni educatori dell’Arciragazzi oltre che tuttora voce e chitarra nello stesso gruppo, e Gigi Pistillo, allora attivista in progetti di cooperazione internazionale. Genova per loro è un percorso vissuto in gran parte insieme che il 20 luglio tocca piazza Manin, animata dai pacifisti della Rete Lilliput e dai Pink Bloc – l’ala creativa e queer del movimento –, incrocia i Black Bloc e le manganellate delle forze dell’ordine, il 21 attraversa il grande corteo sul lungomare spezzato in due dai lanci di lacrimogeni e dalle cariche, e nella notte si trasforma in una fuga da incubo tra i vicoli di collina sorvolati dai minacciosi elicotteri a bassa quota.

«Sono partito in treno da Vicenza con un’amica per seguire i dibattiti del Social Forum – racconta Gigi –. Dopo anni di delusioni, a sinistra si respirava un’aria nuova, un clima di incontro e di legittimazione reciproca tra le componenti del movimento, finalmente lontano dal settarismo degli anni Settanta. Ho montato la mia amaca allo stadio Carlini, dove sapevamo c’era posto per dormire». Alessandro e Marco salgono su un pullman della Cgil con un gruppo di volontari dell’associazione tra cui due ragazzi non ancora maggiorenni, e sono raggiunti poco dopo da Enrico.

Venerdì 20 luglio tra piazze e black bloc

Le foto di venerdì 20 mostrano le alte grate che chiudono via Assarotti, la strada che da piazza Manin conduce a piazza Corvetto, dove inizia la zona rossa. Dietro a quel limite invalicabile, nella piazza, sono schierati i carabinieri in assetto antisommossa. «Eravamo in sit in davanti alle grate – racconta Marco –. I pacifisti con mani e volto dipinti di bianco, cori e azioni simboliche, come quando un attivista si è arrampicato sulla rete metallica per appendervi una bandiera­. A un certo punto i poliziotti che sorvegliavano il sit in si sono tolti persino il casco, alcuni hanno iniziato a conversare con i manifestanti. Poi abbiamo sentito arrivare da piazza Manin suoni di tamburi e abbiamo visto alzarsi un fumo nero. Erano i black bloc che, indisturbati, iniziavano a dare fuoco ad alcune auto e devastavano un bancomat».

L’obiettivo di Enrico ne documenta alcuni in azione: «Lungo il viale c’era un cantiere edile – racconta – dove si cambiavano gli abiti neri indossandone altri per mimetizzarsi tra i manifestanti, e trovavano sanpietrini e bastoni». «La polizia li lascia fare e poco dopo carica i manifestanti della rete Lilliput – prosegue Alessandro –. Intanto iniziano a girare notizie di violenze in altre piazze, circolano voci incontrollate su più manifestanti uccisi, si parla di una ragazza morta. Per fortuna la sera riusciamo a dormire al sicuro, nella sede genovese di Arciragazzi».

Genova G8 - Foto Enrico Antonello

Sabato 21, aria di golpe

Le foto del giorno dopo immortalano il gruppo, unito dietro lo striscione dell’associazione, in corso Italia, il lungomare dove il corteo unitario di 300 mila manifestanti sta partendo. L’atmosfera serena dura poco perché, quando iniziano a piovere lacrimogeni, diventa una necessità arrampicarsi lungo le vie che risalgono la collina in cerca di rifugio. Enrico fotografa alcuni genovesi solidali alle finestre: fanno segni di incoraggiamento, lanciano bottiglie d’acqua per alleviare la sete, il caldo e l’irritazione provocata dai gas lacrimogeni. Guidati da amici locali, si finisce in un ristorante in una zona relativamente tranquilla, per poi puntare al Carlini con l’idea di dormire lì.

«Quella sera – ricorda Alessandro – pensavamo che il peggio fosse passato. Fino a quando gli altoparlanti hanno annunciato che una scuola era stata attaccata dalle forze dell’ordine e che bisognava evacuare subito. Siamo usciti dallo stadio e ci siamo ritrovati in una situazione surreale: la città deserta, gli elicotteri che volavano bassi, i telefonini che prendevano la linea a intermittenza, un’atmosfera da colpo di stato». Gigi dice di aver rivissuto più di una volta quella notte, nei suoi incubi. A Marco è rimasta impressa la visione, dalle colline, di grandi fari montati sui tetti che illuminavano a giorno le strade senza anima viva.

Trovano rifugio in un vicolo sui colli, fuori dal cancello di una villa. A tarda notte arriva un ragazzo in motorino: abita lì, apre e li fa riposare in giardino. Nelle ore successive il padre del ragazzo li accompagna in auto alla stazione di Bolzaneto, dove prendono il primo treno diretto a Milano.

Inizia il dopo-Genova

L’impatto con la realtà al di fuori della bolla di Genova è rappresentato dal controllore che chiede loro il biglietto e che, dopo aver ascoltato i loro racconti, decide di lasciarli perdere. Tornati a casa, organizzano una mostra fotografica all’Osteria La Quercia di Arcugnano, dove si fa viva la Digos.

«Se prima la gente comune tendeva a mostrare simpatia per il movimento – dice Alessandro –, dopo Genova si era creata una barriera di diffidenza. Troppo grande la distanza tra ciò che noi avevamo vissuto e quello che i media avevano raccontato a chi era rimasto a casa».

«Lo spirito di Genova è continuato anche nei mesi successivi – conclude Gigi –. Ricordo le assemblee del Vicenza Social Forum, partecipate da centinaia di persone. Poi a poco a poco hanno prevalso le vecchie logiche settarie: c’era chi metteva a dura prova la pazienza di tutti facendo interventi lunghissimi, riaffioravano i mille distinguo tra le componenti, con il risultato che la voglia di partecipazione, a poco a poco, è andata scemando».

Giulio Todescan

Tutte le foto pubblicate in questa pagina sono state scattate da Enrico Antonello e sono rilasciate con licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia, dunque è possibile pubblicarle altrove citando l’autore.

Ti potrebbe interessare