Gold Coast, wish you were here

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Tre figure si stagliano sulla spiaggia, ritte a piedi nudi tra onde basse di marea.
La ragazza fissa ammirata linee sconosciute di stelle, la corrente ricama lenta la sabbia attorno ai suoi piedi.
Gli altri due pisciano nel Pacifico.
Prerogative di genere.

Poi uno alza lo sguardo, le pupille puntate su quella linea – quasi invisibile nella notte – che segna l’incontro tra cielo e mare.
E capisce.

“I Muse fanno cagare.”

Ma immediatamente sotto, come da un amo nascosto tra la sabbia, si tende il filo di un altro pensiero.
Si guarda attorno. Grattacieli dormono elettrici sotto placidi cieli tropicali.

Bellezza banalizzata, consumata dal troppo uso, come quel lento dei Pink Floyd.

E’ un attimo, e dietro orizzonti nuovi traspaiono trame familiari, rieccheggia un pattern noto, gli occhi colgono i tratti di un dipinto conosciuto, appena celato dietro un altro stile.

E’ la faccia di casa. Quella più triviale.

La Gold Coast australiana: nient’altro che una Riviera Romagnola elevata alla enne, anabolizzata, che sotto innumerevoli piani nasconde il medesimo volto. Entrambe prodotti garantiti per consumatori affezionati – altrove full-optional – per affrancarsi da casa senza il rischio di sentirsi davvero distanti da lì.
La medesima promessa, in un’altra salsa, delle migliaia di villaggi turistici che infestano il pianeta come McDonalds, tutti identici a parte la cornice: l’offerta di una vista nuova ma col medesimo, rassicurante menù.

Un brivido percorre la schiena.
Villaggi vacanze e riviere d’ogni tipo: sono i parchi gioco del turismo di massa, eretti ad uso e consumo d’eserciti d’individui più interessati a raccontare che a esperire; più a collezionare nomi esotici da spendere una volta a casa, nelle conversazioni tra amici, che a comprendere la storia della polvere che s’accumula sui muri, l’odore delle strade, le facce della gente che s’incrocia lì.
Quello non è viaggiare, è collezionare cartoline.

Ma sono solo considerazioni in crisalide che attraversano il cervello di lui, sensazioni embrionali non codificate del tutto, frammenti di pensiero che durano l’attimo di un respiro.
La percezione è però diretta, la conclusione ineludibile:

“Io di qui me ne vado.”

A volte capita di sbagliare strada.

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