Otac (Father): l'ostinato camminare di un uomo in cerca di giustizia. Visto al Trieste Film Festival

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Seconda recensione dal 32esimo Trieste Film Festival, online dal 21 al 30 gennaio 2021. Qui una panoramica dei film in concorso. Qui il primo film recensito: Berliner (The Campaign) di Marian Crișan.

Percorre 300 chilometri a piedi, Nikola, per difendere la sua dignità di padre, di marito e di lavoratore precario, ma in fondo per difendere un principio: la povertà non è una colpa e non è una bella casa a fare una famiglia, ma l’amore tra chi vi abita. La forza di Otac (titolo inglese Father, Serbia, 2020, 120′) di Srdan Golubović è quella di credere fino in fondo in questo principio e di incarnarlo nel personaggio del protagonista, interpretato dal bravissimo Goran Bogdan. Per lui la ricerca di giustizia si traduce in un’urgenza fisica. Alla parola della manipolazione e del raggiro, utilizzata dal dirigente corrotto dei servizi sociali che gli sottrae i figli, contrappone una lettera di reclamo, lo sguardo ostinato e l’atto del camminare.

Otac è stato presentato in anteprima italiana in concorso al 32esimo Trieste Film Festival (disponibile qui fino al 26 gennaio) dopo la premiere nella sezione “Panorama” della Berlinale 2020, dove ha vinto il Premio del pubblico. Il soggetto è tratto da una storia vera, che Golubović ha letto sui giornali e ha voluto poi approfondire incontrando di persona il protagonista della vicenda.

«Non basta il reclamo, devono capire che ci tengo» ripete Nikola a chi cerca di dissuaderlo. Lascia la sua povera casa e attraversa tutta la Serbia. Parte dalla sua cittadina sperduta nei boschi, che lui taglia pagato alla giornata dopo il licenziamento dall’unica fabbrica della valle, e punta a Belgrado, dove vuol far sentire la sua richiesta di giustizia direttamente al Ministero del Lavoro.

Tutta la parte centrale del film è un esodo dai contorni quasi biblici, ma raccontato con uno stile di regia asciutto. Il protagonista si affida alla natura e ne viene accolto, attraversa monti boscosi e campi di grano, incontra lupi come un San Francesco e divide con un cane randagio il suo unico pezzo di pane. In questo “viaggio dell’eroe” c’è anche l’incontro con uomini accomunati dalla miseria ma ognuno con un modo diverso di reagire a una situazione generale che appare priva di prospettive: chi mostra solidarietà inattese, chi al contrario si lascia sopraffare dalla logica della guerra tra poveri. Una breve e raggelante sequenza allude al dramma dei profughi abbandonati al sopruso e alla violenza lungo la rotta balcanica delle migrazioni.

Il viaggio di Otac è anche la scoperta di un Paese dalla natura bellissima ma devastato dal punto di vista strutturale, dove le disuguaglianze sociali e i muri invisibili tra centro e periferia sono fortissimi, al netto di ogni retorica nazionalista. Tra le scorciatoie della furbizia e la rassegnazione a una realtà in cui la corruzione si ammanta di burocrazia, Nikola attraverso il camminare indica una possibile via alternativa di resistenza, per rimettere le cose al posto che compete loro, pezzo dopo pezzo, come nella splendida sequenza finale.

 

«Mi sono reso conto che c’era qualcosa di speciale nella sua storia – afferma il regista Srdan Golubović riferendosi all’uomo protagonissta del caso di cronaca che ha ispirato il film –: m’ispirava e al tempo stesso era molto cinematografica, una sorta di Paris, Texas in stile balcanico. Ero anche affascinato dall’atto di camminare come gesto di protesta e di libertà. Grande fonte d’ispirazione è stato per me il cinema dell’Onda nera jugoslava, l’opera di Makavejev, Petrović, Pavlović e Žilnik. I loro film sono intransigenti e coraggiosi. Mi sono ispirato anche al diario di Werner Herzog, Sentieri sul ghiaccio, sul suo viaggio di tre settimane, da Monaco a Parigi a piedi nel gennaio 1974».

Giulio Todescan

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