Dopo 50 anni in Kenya “padre Alleluia” torna a casa (con due borse)

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La storia di Adolf Pöll è diventata virale sui social network. L’81enne originario della Val Passiria ha trascorso gli ultimi cinquant’anni come missionario nel paese africano martoriato da una sanguinosa guerra civile.

Adolf Pöll andrà in pensione ed ha iniziato il suo viaggio di ritorno a casa, in Alto Adige, dopo aver trascorso oltre mezzo secolo in Africa. Il suo bagaglio? Solo due borsoni, in cui ha riposto “tutti i suoi beni terreni”, scrivono i giornali del Paese che hanno pubblicato la foto del missionario in partenza. Lo scatto è diventato “virale”, celebrato soprattutto sui social network. “L’umiltà al più alto livello” scrive un utente su Twitter. Un altro vede in “Father Alleluia” – com’è affettuosamente chiamato dai suoi fedeli – un “modello per gli altri sacerdoti” mentre un terzo sottolinea che “i pastori delle chiese pentecostali sarebbero probabilmente partiti con un jet privato”.

Commentando la foto, il giornale “New Telegraph” scrive che Adolf Omogaka Pöll “ha adempiuto a quanto scritto nel Vangelo secondo Luca 9:1-6”. Che recita: “Lui (Gesù) disse loro: non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche”. Pöll, missionario in Kenya dal 1968 al 2021, è stato ordinato sacerdote nel 1966 a Bolzano. Dopo i vari periodi di studio nel Johanneum di Tirolo e nella St.-Josefs-Missionshaus di Bressanone, ha perfezionato la lingua ufficiale della missione, l’inglese, nella sede dell’Ordine a Mill Hill/Londra (Regno Unito). Secondo un documentario trasmesso qualche anno fa dalla Rai di Bolzano, Adolf Pöll – originario del piccolo paese montano Ulvas nell’Alta Val Passiria – aveva deciso di diventare missionario già quand’era un bambino. Nel paese africano ha servito nella diocesi di Kisii (1969-2000) e nella diocesi di Malindi (2001-2021). Durante il suo servizio a Kisii usava un vecchio pick-up Toyota, mentre a Malindi si spostava in moto.

In oltre cinquant’anni ha battezzato migliaia di persone. Parla fluentemente alcune delle tante lingue tribali; si occupa dell’asilo (60 bambini) e della scuola primaria; rifornisce la stazione della missione con acqua dai pozzi autocostruiti; gestisce un piccolo sistema di collettori solari e accompagna con il suo pick-up i malati all’ospedale più grande. Inoltre, partecipa con gli anziani del villaggio a tutte le riunioni importanti ed è felice di poterle aprirle o chiuderle sempre con una preghiera cristiana. È la persona di riferimento quando si tratta della scuola, dell’espansione del villaggio e della semina di nuovi campi e pascoli, così come per l’acquisto di macchine, sementi e fertilizzanti. “Il nostro compito principale qui non è quello di far diventare cristiani i musulmani, ma di costruire una buona relazione tra le persone”.

I racconti dell’Africa, della sua gente, la guerra civile, le tragedie ambientali, la convivenza delle grandi famiglie di indigeni, le ostilità tra le tribù, gli sviluppi politici ed economici, l’Aids, le relazioni con le altre religioni (l’Islam, ma anche le religioni della natura), le avventure nella giungla e il divario tra ricchezza e povertà, potrebbero riempire dei libri.
Nella domenica di Pentecoste padre Pöll ha celebrato la sua messa di addio e lo scorso 25 maggio ha preso l’aereo per tornare in Italia.

Elmar Burchia

Nella foto d’apertura del quotidiano nigeriano “New Telegraph” padre Adolf Pöll ritorna a casa con due borsoni

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