Rapporti tesi tra giordani e profughi siriani

2- Famiglia di rifugiati siriani in GiordaniaDi passaggio in Giordania per qualche giorno di lavoro, vado a una riunione nei locali di un’organizzazione umanitaria. L’organizzatrice dell’incontro si chiama Nasrine, ha 27 anni, è giordana e lavora da sei anni nel settore umanitario. Io e Nasrine chiacchieramo nel taxi che ci porta alla nostra riunione:

“Prima lavoravo con i rifugiati iracheni”, mi spiega. “Erano molto meno numerosi, quindi era più facile da gestire… Ho fatto dei buoni studi, avrei potuto guadagnare molti più soldi lavorando nel settore privato, ma in tutta onestà questa cosa non mi ha mai interessato.”

Mentre mi racconta la sua storia, Nasrine parla dell’atteggiamento dei giordani davanti all’afflusso dei rifugiati siriani:

“L’anno scorso, nel maggio del 2012, quando dicevo alla gente che nel mio lavoro aiutavo i rifugiati siriani, ricevevo dei complimenti e degli incoraggiamenti. I miei amici mi chiedevano in che modo potessero aiutare anche loro: una donazione, del volontariato… Ancora l’inverno scorso, quando ha fatto molto freddo e tutti hanno visto in televisione le immagini del campo di Zaatari inondato, la gente ha provato pena per i rifugiati. E poi, qualcosa è cambiato.

Questo qualcosa Nasrine me lo spiega in termini semplici e concreti: i siriani accettano di ricevere la metà dello stipendio e di pagare il doppio degli affitti rispetto ai giordani. I giordani sono quindi colpiti di più dalla disoccupazione e si sentono “cacciati” da certi quartieri.

“Potrai obiettare”, continua rivolta a me, “che i giordani dovrebbero dare la colpa ai loro compatrioti che alzano gli affitti e offrono degli stipendi più bassi. Ma non danno la colpa a loro perché nessuno ha l’impressione che questa gente stia approfittando delle disgrazie dei siriani. Tutti pensano che i siriani ricevono dei soldi, del cibo, dei prodotti di prima necessità, etc. dalle organizzazioni umanitarie senza dover sborsare un soldo! Allora per i giordani, questo è solo la giusta ricompensa.”

Nel suo lavoro quotidiano sul campo, Nasrine sente salire la tensione. Secondo lei, da quando i giordani hanno cambiato atteggiamento nei confronti dei siriani, questi a loro volta si mostrano più aggressivi: “È normale, quando senti che qualcuno ti detesta, cominci ad aver paura di lui e a detestarlo a tua volta. L’odio genera l’odio e ora da entrambi i lati le persone si detestano.”

L’autista del taxi, di cui avevamo un po’ dimenticato la presenza, non si è perso un dettaglio della conversazione. Assentisce gravemente alle ultime parole di Nasrine, ma le stempera:

“L’unica vera questione, è di sapere se vuoi restare umano o meno. Il resto, le ragioni economiche e tutto il resto… certo sono importanti, ma poi, ognuno di noi può fare la sua scelta. E con il tempo, tutto passa. Guardate i rifugiati palestinesi: oggi sono completamente integrati nella nostra società. Con i siriani, se sfortunatamente la loro crisi dovesse durare, succederà la stessa cosa.”

Nasrine è d’accordo, ma pensa che non bisogna dimenticare il ruolo del governo giordano che,  secondo lei, “dà la colpa ai siriani di tutti i problemi del paese. L’inflazione, la disoccupazione e persino la siccità, sono colpa dei siriani!”

Ho un leggero timore della reazione dell’autista davanti a un commento così chiaramente contestatario. Ma lui, malizioso, esclama: “Sorella mia, non bisogna criticare il governo, io ho un cugino al ministero degli Interni! Ma sì, non ti preoccupare, in fondo l’odiavo già da prima che ci entrasse!”

Il viaggio si chiude in un grande scroscio di risate.

 

(racconto di E. L. del 19/05/2013 pubblicato su Focus on Syria)

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